Siamo gettati nelle cose e solo a posteriori possiamo tentare di dargli un significato.
The day after tomorrow | Lei che ti ama e dopo ti disprezza
La città illividiva al vento. Le case e i giardini erano scompaginati da un delirio incontrollabile. Sostavano come animali pasciuti e acquatici le automobili per le vie, ferme oltre l’orario consentito nei parcheggi blu, davanti a garage serrati e negozi senza più nulla da vendere. Dall’alto, dietro finestre vibranti, occhi lucidi e sgomenti osservavano inermi le chiome degli alberi rivoltarsi come ombrelli controvento, le foglie strappate mescolarsi a rivoli schiumosi e grigi, succhiati e risputati in un grugnito cavernoso di canali sotterranei. Ora fogne e fango occupavano la piazza, la via dello shopping, le scalinate della chiesa, e a festeggiarne la venuta i petali cadevano tramortiti, calamitati da balconi sprovvisti di tettoie abbastanza lunghe, o di proprietari rimasti incastrati dove è di stile vivere, nella zona della città che, come isolata dalla realtà, non intercede mai, se staccata da qualsiasi nozione che valga il suo interesse. Anche lì la tempesta avrebbe vinto ogni ritmo, reso mediocri le vicissitudini lavorative, mortali le unità metriche di Google Sheets, agendo, a conti fatti, allo stesso modo dell’innamoramento: le persone si sarebbero scoperte piene soltanto di uno strano senso di eccitazione e orrore.
Super Mario Bros. Movie | Zabaione
A casa della nonna c’era una sola regola: non uscire prima delle quattro. In realtà c’erano molte altre regole ma questa era l’unica che rispettavamo. «Ci sono persone che sono uscite prima delle quattro e sono morte» diceva nonna per spaventarci, o forse perché una volta era successo davvero, non lo so, di fatto, io e i cugini non ci azzardavamo a mettere il naso fuori dal cancello. Ce ne stavamo nel grande salone, scalzi, con i piedi neri e le mani appiccicose, le imposte socchiuse. Appoggiavamo la fronte ai vetri delle finestre e guardavamo i passanti dagli spiragli delle persiane: stupide gambe o eroici mezzi busti si scomponevano in quelle fessure, noi spalancavamo gli occhi, increduli e ammirati, e aspettavamo l’inesorabile fine.
Il nuovo cinema Astra e altre storie e altre sale
di Viola Valery
La vita bugiarda degli adulti | Stretti
«Qualcuno può rispondere?». «Vado io». «Se è tua zia dille che non ci sono». «E dove sei». «Inventa qualcosa». «E che cosa». «Che ne so, dille che sono dal dottore». «Perché dal dottore? È un controllo o non stai bene?». «Ma non importa, dille che sono dal dottore e basta». «Come non importa, se me lo chiede cosa rispondo?». «Allora dille che è solo un controllo». «E che controllo è? Devi fare anche le analisi del sangue?». «La spesa, sono andata a fare la spesa». «Sei uscita a piedi o in macchina?». «Rispondi a quel telefono».
La grande abbaffuta | Aspettare la nonna
Dedicato a mia nonna
Wanna | Lardosa
«Di quanto sei?» «Non sono incinta, ho partorito da poco». Mia figlia ha due anni. Dopo la gravidanza e diciannove mesi di allattamento il mio corpo è cambiato. Non è una questione di chili, nemmeno di centimetri. Le forme sono diverse. La pelle si distende e si contrae per accogliere, contenere, abbracciare. La mia carne è terra per saltare e spingere, è erba per contorcersi e rotolarsi, acqua per affondare, perdersi, tornare a vivere. Sono una mappa di imperfezioni da esplorare con la punta del dito, da graffiare e scavare per cercarne la sorgente. Io sono tua, io sono te.
Doctor Strange nel multiverso della follia | Let’s get… cosa?
Se dieci anni fa avessi avuto la Gemma del Tempo, oggi chissà da quale angolo di mondo starei scrivendo. Degli oltre 14 milioni di futuri possibili che mi aspettavano, avrei visto quello in cui davo credito a chi mi proponeva di investire poche centinaia di euro in Bitcoin, e da lì forse sarebbe stata una storia diversa.
Leon | Daddy’s girl
Di Silvia Fornaroli
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