Di notte restava immobile, concepiva il letto come fosse un sarcofago. Una bara, certo, ma usare la parola ‘bara’ non è appropriato, non si può parlare della morte, soprattutto nell’incipit. ‘Sarcofago’ invece ha quella sfumatura esotica e faraonica che legittima la scelta lessicale. Sarcofago incuriosisce e allo stesso tempo mantiene le giuste distanze. Perché le distanze sono fondamentali: ciò che accade lontano da noi non esiste.
Guida romantica a posti perduti | Da ragazzi andavamo al mare a mezzogiorno
Da ragazzi andavamo al mare a mezzogiorno. Saltavamo sulle macchine roventi, in cinque, a volte in sei, tutti appiccicati, tutti incastrati, le gambe strette e sudate che si incollavano ai sedili, con le magliette sdrucite e la pelle che si mischiava ai tessuti. Non ci importava di nulla.
Vertigo – La donna che visse due volte | Tutti i fantasmi
All’età di cinque anni ho visto il mio primo fantasma. Per le vacanze di Pasqua la mia famiglia si riuniva nella casa di campagna di zia Sofia, che poi non era veramente mia zia, non c’era alcuna parentela, solo che io l’ho sempre chiamata zia. Io e mia cugina Anna, che invece era davvero mia cugina, dormivamo in mansarda. Nonostante il soffitto basso e inclinato e i mobili scuri e pesanti, la stanza era inaspettatamente luminosa e calda e mi piaceva stare lì. Forse per le cose strane che si trovavano aprendo un cassetto proibito o per i libri con le copertine morbide impilati sullo scaffale. Ci piaceva prendere i libri di nascosto dallo scaffale e lasciare le impronte sulle copertine.
Risvegli | Fiorivi, sfiorivano le viole
Del passato racconto sempre le stesse cose. Aneddoti, storie, incontri, solite recite, solite persone. Anche il modo di raccontare è sempre lo stesso. Mai un cambio di registro, mai un colpo di scena, nemmeno una variazione sul tema. Come se il passato fosse una carrellata di eventi memorabili. Eppure, quasi mai si tratta di eventi rilevanti. Sono cose di poco conto, di quelle da dimenticare nell’attimo in cui avvengono, al massimo il giorno dopo. Più che fatti straordinari, sono fattarelli. A volte sono solo lampi.
Captain Fantastic | Mia moglie non mi fa tagliare la barba
Mia moglie non mi fa tagliare la barba. Dice che senza la barba sembro un manichino dell’Oviesse. Non un manichino generico, proprio uno dell’Oviesse. «C’è qualcosa di inquietante nel modo in cui fissano il niente» dice, «è come se ti osservassero, anche se in realtà non lo stanno facendo» dice, «ti svuotano senza nemmeno guardarti». Poi sbatte le palpebre più volte e guarda qualcuno o qualcosa che non esiste.
Contagion | Una stretta di mano
Inizia una nuova partita. Seleziona il tipo di epidemia: batteri, virus, fungo, parassita, prione, nano-virus, arma biologica. Scelgo virus. Seleziona la difficoltà: casuale (nessuno si lava le mani, i ricercatori non lavorano, i malati si abbracciano), normale (il 67,3% della popolazione si lava le mani, i medici lavorano part-time, i malati vengono ignorati), brutale (lavaggio mani compulsivo, i medici non vanno a casa, malati imprigionati). Scelgo difficoltà brutale.
Figli | Prima del resto della loro vita
Lei è convinta che la lavastoviglie vada caricata in un certo modo, che la disposizione degli oggetti nello spazio, e perché no, anche nel tempo, debba seguire un ordine esatto, rispettare un’armonia di forme e colori e dimensioni, Lei è sicura che la precisione e la fluidità, e sì, diciamolo, soprattutto l’estetica, abbiano un ruolo fondamentale per la buona riuscita del lavaggio. Lui dice che sono stronzate e punta tutto sulla durezza dell’acqua.
Le Mans ’66 – La grande sfida | Ti piacciono le riviste di meccanica?
«Ecco che per l’Italia si prepara la concorrente più giovane della squadra, pensate, ha solo sei anni». La palazzina in cui abitavamo aveva un cortile asfaltato che circondava l’edificio. Io ero l’unica bambina del condominio e giocavo sempre da sola. Non soffrivo di solitudine, ero troppo timida e impacciata per sentire la mancanza dei coetanei. Mi piaceva andare in bicicletta in quel cortile asfaltato. Trascorrevo interi pomeriggi a pedalare, ma non andavo veloce, non ero spericolata, mi avevano inculcato che sudare era il male, sudando mi sarei ammalata e ammalandomi sarebbe successo qualcosa di tremendo, apocalittico, una catastrofe, così pedalavo con giudizio e prudenza, senza esagerare. Avevo creato una sorta di percorso mentale del cortile – girare intorno a un tombino, passare a destra di una certa pietra, sfiorare la panchina, tagliare l’angolo del marciapiede – e mi imponevo di rispettare al centimetro il tracciato. Spingere sul rettilineo, rallentare nelle curve, tenere stretto il manubrio nei dislivelli; calcolavo ogni mossa, ogni oscillazione, ogni movimento per completare il percorso senza sbavature e incertezze. Avevo sei anni e la mia ossessione era il giro perfetto.
La vita invisibile di Eurídice Gusmão | Dove vanno a finire i sogni
Quando ripenso al mio passato posso distinguere tre o quattro istanti in cui la mia vita ha preso una direzione. Non parlo di momenti cruciali o di eventi catastrofici, sono cose banali, quotidiane, irrilevanti: una chiamata rifiutata, un viaggio rimandato, una strada diversa per tornare a casa. Eppure c’è qualcosa che luccica in questi ricordi. Un lampo. Sono attimi inutili e cristallini che tornano alla mente come una profezia. Proprio in quel momento qualcosa è cambiato.