Lo smalto verde brillante che ricopriva le unghie dell’impiegata trasmetteva una gioia di vivere che non trovava riscontro nell’espressione del suo volto. Lei stava al di là di un vetro di plexiglass e batteva le dita sui tasti, rapidamente.
Teneva gli occhi fissi sullo schermo del PC e masticava una gomma lasciando la bocca semiaperta: l’ondeggiare della mascella aveva qualcosa di ipnotico e Stefano, che stava seduto davanti a lei con in mano le fototessere, non poteva fare a meno di fissarla rimpiangendo i bei tempi del Covid, quando le Ffp2 erano obbligatorie. Sentiva che dietro a quel pannello le leggi della fisica non avevano valore. Chissà se il tempo passato a quella scrivania scorreva nello stesso modo per entrambi, o se invece quello che a Stefano pareva un minuto per quell’impiegata rappresentava giorni, settimane, anni. E chissà se questo valeva anche per i suoi colleghi che stavano dietro alle scrivanie numero 3 e 5, oppure se per ognuna delle persone presenti nell’open space le lancette dell’orologio avanzavano a un ritmo diverso. Un po’ come Interstellar, ma ambientato all’ufficio anagrafe, pensò Stefano.
Poi le dita della donna si fermarono e la mascella si serrò.
“Lei risulta deceduto”.
Stefano si avvicinò al muro di plexiglass.
“In che senso, deceduto?”
“In data 26 maggio 2022”.
Dove era stato il 26 maggio 2022?
“Guardi, non è possibile”.
L’impiegata riprese a masticare la gomma, fissando lo schermo con aria annoiata.
“Ha con sé un altro documento?”
Stefano tirò fuori la patente e la fece passare sotto il pannello. L’impiegata la prese in mano.
“In questa foto lei ha i rasta”.
“Sì”.
“Ma adesso è calvo”.
Stefano si passò una mano sulla testa lucida.
“La foto è un po’ vecchia, la patente scade il prossimo anno. L’unico altro documento che ho è la carta di identità che ero venuto a rinnovare…”.
L’impiegata gli rese la patente e alzò la cornetta.
“Franco, qui c’è un altro deceduto”.
Stefano controllò il calendario sul cellulare: 26 maggio 2022. Un giovedì. Il giovedì entrava alla seconda ora, in terza C. Era il giorno che aveva parlato di Pasolini? Oppure c’era stata la verifica sul Paradiso? Magari era andato in bici a scuola e dopo aveva preso Michele al nido. A cena Federica aveva sicuramente fatto il cous cous, che la primavera scorsa stava in fissa con la cucina mediorientale. No, non mediorientale: nordafricana. Insomma, un giorno come tanti.
L’impiegata continuava a guardare lo schermo: le sue unghie tamburellavano sulla scrivania e la bocca masticava una gomma ormai sfinita.
“Facciamo così: vado a fumare, lo lascio a te”. Riagganciò senza aspettare una risposta. Poi guardò Stefano. “Aspetti un attimo che arriva il collega”.
Lui rimase fermo sulla sedia di plastica. Deceduto. Eppure aveva preso servizio nella nuova scuola, continuava a pagare il mutuo, la sua carta di credito funzionava. Aveva anche fatto la revisione alla macchina. Ripercorse mentalmente tutti gli impegni, le scadenze, gli accessi Spid e le firme digitali degli ultimi mesi che confermavano la sua presenza a pieno titolo tra i membri produttivi della società civile, quando un tizio panciuto in giacca e cravatta si sedette davanti a lui. “Salve, sono Franco Biondi, responsabile della sua pratica”, disse quello con un tono gioviale che non trovava riscontro nel ghigno impresso sulla sua faccia.
“Dato che lei è qui, possiamo intanto affermare con certezza che non è deceduto, giusto?”, rise.
“Direi di sì”.
Franco prese possesso della tastiera del PC e iniziò a scrivere lentamente, un dito per volta, senza togliersi dal volto quel sorriso innaturale.
“Lei non è il primo, sa? A risultare deceduto senza esserlo”.
“Ma come è possibile…” chiese timidamente Stefano.
“Guardi, ce lo chiediamo anche noi. Credo siano stati i ragazzi del servizio civile che hanno fatto confusione con il sistema. E infatti alla fine non abbiamo fatto rapporto. Non vogliamo mettere in difficoltà i ragazzi del servizio civile, vero?”
“Ma no, certo”.
“Lei vuole fare reclamo?”
“Ma no…”
“Poveri ragazzi, ne hanno passate tante…”
“E certo…”
“Il lockdown, il Covid…”
“Sì, non è stato facile…”
“E poi i social. Ma lei ci pensa se avessimo avuto Facebook quando eravamo ragazzi? Chissà cosa avrei pubblicato. Sicuramente non mi avrebbero mai preso a lavorare in un ufficio pubblico, glielo assicuro”. Rise sguaiatamente e i suoi occhi terrorizzati guardarono quelli di Stefano, alla ricerca di un segno di assenso.
“Sì, è un’età difficile”.
“Lasciamo stare i ragazzi del servizio civile, allora. Vediamocela tra di noi, che ne dice?”
Stefano non aveva mai pensato di fare reclamo ma intanto la sua sedia diventava sempre più scomoda e lui si muoveva alla ricerca di una posizione che lo mettesse a suo agio. Non la trovò.
“Sa qual è la fortuna a non essere il primo? È che sappiamo già come trattare casi come il suo”. Franco prese un foglio dalla cartellina rossa che aveva con sé.
“Deve solo compilare questo e portarcelo. Deve venire di persona, accompagnato da qualcuno con un documento valido che possa confermare che lei è il signor Stefano Poggi e che non è deceduto”.
Stefano prese in mano il foglio. In cima stava scritto Reimmissione istantanea persone – RIP.
“L’avete scelta di proposito?”
“Cosa?”
“La sigla. Rip. È voluta?”
Il sorriso svanì dalla faccia di Franco. “Purtroppo no. Ce ne siamo accorti troppo tardi, quando ormai era stato avviato il protocollo”.
Peccato, sarebbe stato divertente, pensò Stefano rigirandosi il foglio tra le mani.
“La pratica è immediata. Lei viene qui con il documento compilato, io lo allego alla richiesta di carta di identità e sistemiamo tutto”, disse Franco.
Più rapido di Gesù, pensò.
Non crederai a quello che è successo, scrisse Stefano a Federica mentre usciva dall’ufficio anagrafe, e forse sarà stato il sole di febbraio che splendeva in maniera insolita, sarà stato lo sbalzo di temperatura, sarà stato il ghigno di Franco che gli era rimasto impresso nella mente, sarà stato che non aveva fatto colazione e gli girava un po’ la testa, sarà stato che pensava al 26 maggio 2022, sarà stato tutto questo o sarà stato niente, ma sta di fatto che mentre attraversava la strada non vide il semaforo rosso, e quando la macchina inchiodò a pochi centimetri da lui Stefano rimase sorpreso, perché stava attraversando sulle strisce. Non crederai a quello che è successo, pensò mentre l’autista scendeva dalla macchina gridandogli contro, e continuò a camminare, pensando a quel 26 maggio e a cosa avrebbe detto Federica quando glielo avrebbe raccontato.
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