«Di quanto sei?» «Non sono incinta, ho partorito da poco». Mia figlia ha due anni. Dopo la gravidanza e diciannove mesi di allattamento il mio corpo è cambiato. Non è una questione di chili, nemmeno di centimetri. Le forme sono diverse. La pelle si distende e si contrae per accogliere, contenere, abbracciare. La mia carne è terra per saltare e spingere, è erba per contorcersi e rotolarsi, acqua per affondare, perdersi, tornare a vivere. Sono una mappa di imperfezioni da esplorare con la punta del dito, da graffiare e scavare per cercarne la sorgente. Io sono tua, io sono te.
Spencer | Aforismi sul dolore
Martedì, ore 11.34 – Sulla morte Quando penso alla morte, ultimamente, penso a come si allacciavano le scarpe le persone che non ci sono più. E come di questo gesto semplicissimo, eppure specifico, unico, irripetibile, non rimarrà traccia alcuna. È forse questa immagine una metafora?
Ghostbuster Afterlife | I fratelli Cagnotti
Di Luca Giommoni
La finestra sul cortile | Sguardi
Nell’ora del silenzio e degli sguardi rapiti quando la terra freme sotto i tuoi passi di ragazza dagli occhi scintillanti a me basta una finestra.
Leon | Daddy’s girl
Di Silvia Fornaroli
The Good Place | Essere al posto giusto
Il primo giorno di scuola stringeva sulla pancia il sacchettino di stoffa con la merenda: una rosetta col prosciutto, tre fettine sottilissime. Il prosciutto lo vedevano in tavola una volta al mese, quando andava bene. La madre aveva insistito: «Almeno il primo giorno, poi lo capiranno che è una pezzente, ma almeno il primo giorno!». Mariella era felice per quel prosciutto. I fratelli le dissero che la odiavano e che si sarebbe strozzata mangiando il panino. Era la quarta di sei figli. Chiuse i pugni forte, sentiva le unghie premere sulla carne, le mani gelide e sudate. Poi si mise a sedere e accarezzò il banco. Con l’indice seguì il perimetro del legno e arrossì pensando che era tutto per lei, che non avrebbe dovuto condividerlo con nessuno, che non le avrebbero tirato i capelli per rubarle il posto. Conosceva gli altri bambini della classe, figli di contadini come lei: nessuno di loro aveva una rosetta col prosciutto. Mariella nascose il sacchettino di stoffa in fondo alla cartella.
La Dolce Vita | Dolce, dolcissima vita
Molti sono i bar di fronte ai quali mi faccio problemi di passare. Basterà cambiare lato della strada, non importa che mi sforzi a pensare percorsi alternativi, è sufficiente affrettare il passo e rivolgere lo sguardo al telefono. Gli scrupoli non dipendono dal fatto che in passato sia scappato da quei bar senza pagare, o che lì abbia litigato con qualcuno, o almeno non in modo serio, ma è da ricercarsi in un’eccessiva vicinanza che le notti trascorse là mi portarono ad avere con gestori o baristi o cameriere o buttafuori, così che tornarci oggi sarebbe pietoso, per tutta la polvere che intanto si è depositata sui miei capelli, e questa faccia spiegazzata (ma gli occhi, spero, sono rimasti identici).
Scene da un matrimonio | Secondo il vento
Le braccia stese in avanti per non sbattere scavalco il tuo corpo scomposto nel sonno e mi infilo sotto le coperte.
After Life | Le cose che restano (Cartoline)
Nell’armadio ho una scatola piena di cartoline. Nessun colore brillante, nessun dettaglio accattivante, nessuna etichetta che ne specifichi il contenuto. Sta stipata sotto cumuli di tute da ginnastica, contenitori vari, asciugamani per la spiaggia, cornici senza fotografie. La tiro fuori una o due volte l’anno, quando mi impongo un rigoroso cambio di stagione, operazione che non vede mai una fine perché una volta aperta la scatola l’autodisciplina si sgretola: i vestiti restano ammassati sulle sedie per settimane oppure lievitano sul pavimento mentre io, a gambe incrociate, con un cappello di paglia in testa, un maglione slabbrato addosso e un paio di calzini bucati ai piedi, impilo cartoline suddividendole per anno, per mittente, per tema iconografico.
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