di Federica Fanelli “Ti aspetto alle quattro al Caffè della Piazza, a Seravezza” al telefono ha detto così, come se fosse la cosa più normale del mondo. Io non sapevo neanche cosa fosse Seravezza e quando l’ho cercata su internet ci sono rimasta un po’ male: paesino sperduto della Toscana, della “Versilia storica” per la precisione, che attualmente conta dodicimila trecento quindici abitanti. Un provinciale quindi, buono a sapersi.
The day after tomorrow | Lei che ti ama e dopo ti disprezza
La città illividiva al vento. Le case e i giardini erano scompaginati da un delirio incontrollabile. Sostavano come animali pasciuti e acquatici le automobili per le vie, ferme oltre l’orario consentito nei parcheggi blu, davanti a garage serrati e negozi senza più nulla da vendere. Dall’alto, dietro finestre vibranti, occhi lucidi e sgomenti osservavano inermi le chiome degli alberi rivoltarsi come ombrelli controvento, le foglie strappate mescolarsi a rivoli schiumosi e grigi, succhiati e risputati in un grugnito cavernoso di canali sotterranei. Ora fogne e fango occupavano la piazza, la via dello shopping, le scalinate della chiesa, e a festeggiarne la venuta i petali cadevano tramortiti, calamitati da balconi sprovvisti di tettoie abbastanza lunghe, o di proprietari rimasti incastrati dove è di stile vivere, nella zona della città che, come isolata dalla realtà, non intercede mai, se staccata da qualsiasi nozione che valga il suo interesse. Anche lì la tempesta avrebbe vinto ogni ritmo, reso mediocri le vicissitudini lavorative, mortali le unità metriche di Google Sheets, agendo, a conti fatti, allo stesso modo dell’innamoramento: le persone si sarebbero scoperte piene soltanto di uno strano senso di eccitazione e orrore.
Hong Kong Express | Quanto amore in una stanza
Essi Vivono ST02, ep15 di Carla Vitantonio La ragazza inglese coi capelli rossi all’hennè mi dice che era sposata con un uomo thailandese e che hanno pure fatto una figlia. Ai tempi viveva in Thailandia, a Bangkok, in una di quelle stradine sempre in ombra a causa degli immensi grumi di fili elettrici che penzolano pericolosamente dai pali di legno mezzi infraciditi dai monsoni. Si chiama Lizette. L’ho scoperto solo molte ore dopo averla conosciuta e tutto il resto. Me la immagino uguale a tutti gli insegnanti di inglese che ho conosciuto in Asia in questi anni, vent’anni e qualcosa in più: in giro per le discoteche dopo aver mangiato quel mango verde intinto nel peperoncino e nel glutammato, l’interno delle guance imbalsamato a tempo indeterminato dalla sapidità. E poi il tipo, la storia d’amore, vera o finta poco ci importa perché comunque questi due sono stati insieme per degli anni, più di dieci dice lei, e allora per davvero o per finta il tempo è quello che è e vale sempre.
Il sol dell’avvenire | Autocelebrazione
Quando Sandra si svegliò, il sole, già alto, trapelava attraverso le tende riempiendo i muri e il soffitto della stanza di riflessi che avevano la forma di buffi alieni, di sgorbi o di grassi insetti.
Disco Boy | Lunghe spine rovesciate
Hal Cust guardò attraverso l’oblò, vide minuscole bolle di sapone dai colori acidi colonizzare un paio di mutande e il colletto di una camicia; ne osservò le giravolte liquide per un paio di minuti e gli tornarono alla mente gli occhi lucidi di suo fratello Louis che processavano la notizia della morte della loro madre in un giorno di primavera a Monroe; non erano andati a scuola.
Westworld | Grano
Essi Vivono ST02, ep14 di Apolae Incontrai Dolores per caso, al terzo soggiorno, seguendo un tizio in nero che pareva saperla lunga lì all’emporio, ok gringo ma niente domande, pagai il conto in fretta e via col vento era tosta stargli appresso, git up baby go, montava un puledro cazzuto garretti d’acciaio che sbranava la polvere, si scostavano tutti al suo passaggio in paese e lui briglia sciolta lungo il sentiero di crochi e gramigna, col sole fuso sempre a destra, lazo avvolto al pomo della sella, in una corsa che sembrava più allontanarsi da un rimorso che acciuffare una smania, incollato al galoppo fino alle querce annoiate del Ranch Abernathy.
Succession | La giacca verde
di Giulia Sabella Tiro fuori dall’armadio la giacca della laurea. Sta dentro la pellicola della lavanderia ed è di una tonalità di verde che non credo esista in natura. Non evoca le placide campagne irlandesi, né i laghi del Nord Italia dopo una pioggia primaverile. È un verde che invece ricorda gli uniposca della cartoleria di papà, gli ombretti in omaggio con Cioè, i ghiaccioli alla menta che si squagliano e ti colano sulle mani mentre li mangi.
Super Mario Bros. Movie | Zabaione
A casa della nonna c’era una sola regola: non uscire prima delle quattro. In realtà c’erano molte altre regole ma questa era l’unica che rispettavamo. «Ci sono persone che sono uscite prima delle quattro e sono morte» diceva nonna per spaventarci, o forse perché una volta era successo davvero, non lo so, di fatto, io e i cugini non ci azzardavamo a mettere il naso fuori dal cancello. Ce ne stavamo nel grande salone, scalzi, con i piedi neri e le mani appiccicose, le imposte socchiuse. Appoggiavamo la fronte ai vetri delle finestre e guardavamo i passanti dagli spiragli delle persiane: stupide gambe o eroici mezzi busti si scomponevano in quelle fessure, noi spalancavamo gli occhi, increduli e ammirati, e aspettavamo l’inesorabile fine.
Sing Street | Friday, I’m in love
Essi Vivono ST02, ep13 di Daniele Pasquini Gli sfavillanti colori e le indimenticabili atmosfere dei magici anni ’80, dice la descrizione della pagina evento, e tu pensi che ci sono davvero troppi aggettivi, davvero tutti sbagliati. C’è una sfera specchiata da cui si diramano raggi giallo, ciano, magenta, la sagoma stilizzata di un ballerino con pantaloni a zampa, un cesto di capelli che dovrebbe risultare iconico.
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