Quel pomeriggio Luca si trattenne al bar più del dovuto. Erano le diciotto e trenta. Sarebbe dovuto passare a far la spesa, tornare a casa e preparare la cena per le venti. L’aveva promesso ad Alessia, ma le sue promesse ultimamente valevano poco. E mentre ordinava un’altra birra, le scrisse un messaggio: “scusa, imprevisti a lavoro, farò tardi. Facciamo pizza stasera?”.
Rientrò alle ventidue passate.
Alessia era seduta in salotto col computer tra le gambe e un bicchiere di tisana fumante in mano. La raggiunse, lasciandosi cadere a peso morto sul divano. Provò a baciarla ma lei si scostò.
«Scusa, è stata una giornata pesante. Non hai letto i giornali?»
«No, che è successo?» le chiese.
«È morta una ragazza. Lavorava da noi… aveva vent’anni»
«Mi spiace, com’è successo?».
«Anche a me. Incidente d’auto».
Alessia chiuse il computer e si alzò. Svuotò la tisana nel lavello della cucina e andò a dormire senza dare troppa corda a Luca, che rimase stravacato sul divano col giubbotto ancora indosso. Si appisolò in quella posizione, affaticato dall’alcol e dalle sigarette.
Si risvegliò qualche ora dopo, stordito e infreddolito. Pensava fosse mattina ma dalla finestra notò l’arancio dei lampioni sfumare nel nero della notte. Andò a versarsi dell’acqua e vide il PC di Alessia sul tavolo. Lo aprì. La password era sempre la stessa. Frugò tra le mail ma non trovò nulla di interessante. Non capiva se esserne rasserenato o rattristato. Forse entrambe. Controllò la cronologia web e trovò i soliti articoli a tema lavoro. Numeri, percentuali, anglicismi, ipotesi e previsioni future.
Alessia si occupava delle risorse umane per una catena di supermercati locale. Ultimamente era stressata perché in alcuni punti vendita stavano sostituendo le casse tradizionali con quelle automatiche. «Questo significa tagli di personale?» le aveva chiesto Luca una sera in cui la vide particolarmente nervosa. Lei disse di no, per ora, ma era preoccupata perché intuiva che qualcosa stava cambiando. Dunque aveva iniziato a leggere ossessivamente tutto ciò che parlava di futuro e lavoro, perché per lei la parola lavoro rappresentava un universo dato e finito, identificabile con schemi e regole precise. Concepire ciò che si poteva trovare oltre era come immaginare un colore mai visto: aveva bisogno di qualcuno che glielo descrivesse.
Chiuse il computer e ci appoggiò sopra un biglietto scritto sghembo: “scusa per ieri, sono stato uno stronzo. Mi farò perdonare. Ho dormito sul divano perché dovevo uscire presto e non volevo svegliarti”. Stava per aggiungere “Ti amo”, ma si bloccò. Chiuse gli occhi e strinse la penna, aspettando che passasse. Prese le chiavi dell’auto e uscì di casa.
Guidò senza meta lungo i viali deserti. Fino a qualche settimana prima faceva l’autista e adorava i turni notturni, perché scivolava sull’asfalto senza pressioni e preoccupazioni. Poi un’inaspettata crisi dell’azienda si tramutò in taglio di personale e lui rimase a casa. Ora scivolava sull’asfalto per scacciare senso di colpa e fallimento, che gli impedivano di confessare ad Alessia il licenziamento.
Poco prima dell’alba passò davanti all’ospedale, e in un piccolo edificio di fianco, quella che doveva essere la camera mortuaria, notò un picchetto di persone e alcune bandiere del sindacato. Pensò a quello che le aveva detto Alessia poche ore prima. Rallentò, poi accostò e infine scese dall’auto.
La camera mortuaria era una sala quadrata e spoglia, fatta eccezione per un crocefisso appeso al lato opposto all’ingresso e alcune sedie pieghevoli disposte lungo le pareti. Al centro della stanza, la bara.
Luca si avvicinò. All’interno giaceva il corpo di una ragazza giovane. Il trucco sul viso nascondeva i segni di una recente ricostruzione.
«Eravate amici?»
La domanda veniva da un signore di mezza età che gli si era affiancato senza farsi notare.
«Faceva la terzista. Sai cosa sono i terzisti?» gli chiese senza aspettare risposta e porgendogli un bicchiere di caffè caldo appena versato da un thermos.
Luca prese il bicchiere e annuì, ma in realtà non lo sapeva.
«Stavano andando ad allestire un supermercato qui vicino. Durante un sorpasso l’autista ha perso il controllo. Dice era stanco, e ci credo, se ti fanno lavorare dodici ore di fila e poi ti devi accollare una trasferta a cinquanta chilometri per delle paghe che lasciamo stare. Lei sedeva sul sedile posteriore, non indossava la cintura di sicurezza. L’hanno trovata a cinquanta metri dal furgone. Uno dei pompieri ha vomitato quando ha visto il corpo. Come si può morire a quest’età per un lavoro?».
«Terribile».
«Già».
Quando tornò alla macchina albeggiava. La città si stava rianimando. Bar e tabacchi tiravano su le serrande, gli edicolanti piazzavano fuori le civette, auto, furgoni e bus riempivano le strade e qualcuno portava a spasso il cane.
A un semaforo notò il cartellone pubblicitario di un ristorante cinese. Decise che quella sera ci avrebbe portato Alessia. L’ultima volta che erano stati a cena fuori avevano parlato di lavoro. Parlavano solo di lavoro ultimamente e Luca era stanco di tutti quei discorsi su assunzioni e licenziamenti, politiche del lavoro, lotte sindacali, contratti di settore, buste paga, tredicesime e straordinari.
Il lavoro è ciò che definisce una persona, gli aveva detto quella sera a cena.
Chi sei, cosa fai, sono le due domande che rivolgi a una persona che non conosci. Se togli la parola lavoro dall’equazione, cosa ci rimane?
Forse il tuo è solo un problema linguistico, le aveva risposto Luca, ma non le aveva saputo dire altro, anche perché poi le avrebbe dovuto dire che lui un lavoro non ce l’aveva più.
La macchina dietro di lui strombazzò riportandolo alla realtà. Era scattato il verde. Ingranò la prima e partì.
Imboccò un lungo viale dove sorgeva una scuola. Erano quasi le otto e vide decine di bambine e bambini raggiungere l’ingresso e raggrupparsi davanti, in attesa dell’apertura dei portoni.
Osservandoli, pensò a quanti di loro, in futuro, avrebbero trovato un lavoro che avrebbe dato senso e forma alla loro vita. E quanti di loro invece se lo sarebbero rovinato, il futuro, perché per il lavoro sarebbero finiti nevrotici e poi depressi o, peggio ancora, morti. Chiuse gli occhi e strinse il volante, aspettando che passasse. Poi controllò il cellulare, nessuna notifica. Forse Alessia ancora dormiva, o forse non gli voleva scrivere.
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