«Qualcuno può rispondere?». «Vado io». «Se è tua zia dille che non ci sono». «E dove sei». «Inventa qualcosa». «E che cosa». «Che ne so, dille che sono dal dottore». «Perché dal dottore? È un controllo o non stai bene?». «Ma non importa, dille che sono dal dottore e basta». «Come non importa, se me lo chiede cosa rispondo?». «Allora dille che è solo un controllo». «E che controllo è? Devi fare anche le analisi del sangue?». «La spesa, sono andata a fare la spesa». «Sei uscita a piedi o in macchina?». «Rispondi a quel telefono».
Wanna | Lardosa
«Di quanto sei?» «Non sono incinta, ho partorito da poco». Mia figlia ha due anni. Dopo la gravidanza e diciannove mesi di allattamento il mio corpo è cambiato. Non è una questione di chili, nemmeno di centimetri. Le forme sono diverse. La pelle si distende e si contrae per accogliere, contenere, abbracciare. La mia carne è terra per saltare e spingere, è erba per contorcersi e rotolarsi, acqua per affondare, perdersi, tornare a vivere. Sono una mappa di imperfezioni da esplorare con la punta del dito, da graffiare e scavare per cercarne la sorgente. Io sono tua, io sono te.
Maid | Il Dyson
L’inquilino del piano di sopra fa le pulizie alle 23.30. Ha un Airbnb. Distesa sul letto, guardo il soffitto vibrare e trattengo il respiro aspettando che finisca. Potrei stendere il braccio e indicare col dito l’esatto andare su e giù dell’aspirapolvere. L’inquilino del piano di sopra, quando fa le pulizie alle 23.30, sposta sedie, mobili, poltrone e altri oggetti che presumo abbiano grande dimensione o peso considerevole. Il suo appartamento deve estendersi per chilometri perché il trascinamento continua per svariati minuti.
Domani è un altro giorno | E se fossi io?
Avevo sedici o diciassette anni quando vidi un manifesto funebre con il mio nome stampato sopra e mi convinsi di essere morta. Luglio. Come ogni anno trascorrevo l’estate con i nonni, giù in paese. Le campane delle otto non si erano ancora sentite. Percorrevo in bici la lunga strada secondaria che costeggiava il paese. In realtà non era così lunga ma la pendenza la faceva sembrare infinita. Per inciso, non mi infilavo mai nella strada principale perché lì sì che il dislivello era impressionante e a metà salita ero disfatta, spompata, boccheggiante, con la faccia paonazza, a chiazze, scendevo dalla bici e la spingevo a mano, la maglietta appiccicata alla schiena e le ascelle sudate. Mi vergognavo della mia scarsa prestanza fisica, di fatto le mie inclinazioni erano spiccatamente indirizzate a qualsiasi cosa si potesse fare da fermi, magari seduti.
Capri-Revolution | Dialogo sui minimi sistemi
(Due uomini a torso nudo davanti a un muro. Sono in ginocchio, uno dà le spalle all’altro. Vediamo solo le loro schiene. La posizione è scomoda, l’uomo più vicino al muro si alza e prende un cuscino, poi ritorna al suo posto. Non si guarderanno mai.) – Pensi che l’arte possa salvarci? – Salvarci da cosa? – Da quello che succede, da quello che siamo diventati. – Perché, tu non sei contento di chi sei? – Non so esattamente chi sono, o cosa. Perché tu lo sai?
Ride | Se qualcosa non c’è, esiste?
L’assenza è un piatto di spaghetti al pomodoro prima di andare a lavoro. È un orzo in tazza grande nella sala d’aspetto di un ospedale. È un budino alla vaniglia che non riesci a mandare giù. Io non mi ricordo il sapore dell’assenza. Sarà che mi sono scottata la lingua con un tè bollente, sarà che mangio con poco sale perché ho la pressione alta. Non aggiungo spezie esotiche, non condisco con olio a crudo, non sfumo con vino bianco. L’assenza mi piace assaporarla così: pesante e inconsistente.
Tito e gli alieni | La Donna che non si staccava dal passato
di Elisabetta Meccariello La Donna che non si staccava dal passato spendeva un mucchio di soldi. Per prendere il treno acquistava due biglietti, sull’autobus timbrava due corse, al cinema pagava due ingressi. Signora – le dicevano – il suo bagaglio occupa il posto riservato a un altro utente. O paga per due o non possiamo farla entrare. Ma questo non è un bagaglio – replicava – sono i miei ricordi.
Dogman | Riconosco il tuo sapore mangiando la neve
di Elisabetta Meccariello Fino a che punto sei disposto a spingerti per essere accettato. Cosa sei pronto a dire o a nascondere per mostrarti come gli altri ti vedono o credono tu sia. Siamo sotto tiro. Abbiamo storie da raccontare con gli occhi chiusi e una mano sulla bocca. Possiamo sempre essere un’altra versione di noi stessi. Con qualche orpello, celando le sbavature e spostando gli accenti, quando fa comodo, quando gli altri ce lo chiedono. Teniamo un sorriso di scorta. Fino a che punto sei disposto a esporti per essere amato?