«Sono troppo vecchio per queste stronzate!» Roger Murtaugh
Commenti in ordine sparso sul 7° Middle East Now
1. Il fienile più fotografato d’America Una delle prime impressioni è che in questo festival specifico ci sia il più alto numero di fotografi per numero di film e di spettatori. Cos’è che essi fotografano esattamente? Volti di persone in fila, volti di registi, organizzatori, assistenti, file sui foyer, cinema pieni. Andando via da Villa Bardini, con il glicine in fiore, pensavo che la memoria complessiva di tutte le macchine fotografiche è solo apparentemente infinita: e che tuttavia no, non è in grado di fotografare (quasi) un bel nulla. Non quel glicine. Dio, come sono moralista.
Cinema Koreano come 38° parallelo del nostro inconscio
L’11 marzo è iniziata la quattordicesima edizione del Korea Film Fest, manifestazione cinematografica a cui noi della Bocciofila siamo molto affezionati (e lo rimarremo per sempre), in quanto il cinema coreano ha portato sullo scenario internazionale artisti di incredibile spessore di cui ci siamo innamorati perdutamente.
The End of the Tour | Un’intervista navajo al famosissimo DFW
Ho intervistato David Foster Wallace (Ithaca, 21 febbraio 1962 – Claremont, 12 settembre 2008), mandandogli messaggi Navajo nell’oltretomba, per sapere cosa ne pensasse di questo film tratto dal celeberrimo reportage intervista di David Lipsky edito in Italia da Minimum Fax.
Due parole sul 56esimo Festival dei pop(oli)
Già che anche per quest’anno è passato il Festival e Ernestina mi guarda dietro ai suoi occhiali dalla montatura leggera, sotto al cappellino, con occhi scintillanti e dice: cosa faremo adesso delle nostre sere? Mentre intorno a noi una piazza assume il venerdì sera come evento reale e in un certo senso qualcosa di cui è vero noi necessariamente assegneremo un valore morale (il lavoro quale alienazione, il week-end quale pillola compensatoria, il capitalismo come continuazione e dispiegamento di concetti giudaico cristiani), ma che di fatto è semplicemente qualcosa che accade, in quella piazza, a quei tavolini, e Ernestina appunto con i suoi occhiali, il suo viso da gran visir del documentario, che poi con fare perentorio (perentorio?) continua il suo discorso dicendo: mi ricorderò sempre di questo Festival, perché Staron mi ha cambiato la vita, come farò a tornare alla fiction dopo questa meraviglia?
Festival dei popoli | Appunti
quando all’odeon si va in alto in galleria e la sala è piena sembra di sentire il cinema respirare nell’unisono di tutte quelle bocche
L’arte dello schermo | Un cordiale anti
Possiamo affermare senza nessuna volontà, per esempio usando la parola sì. Possiamo assumere posizioni politiche, geografiche, interiori. Possiamo affermare che ogni oggetto se messo in luce darà ombra. Possiamo affermare che se alla parola arte si aggiunge schermo o se alla parola schermo si aggiunge arte i risultati cambiano. Possiamo affermare che lo Schermo dell’arte e L’arte dello schermo sono due iniziative differenti. Possiamo affermare che dell e dello hanno una forza del tutto differente. Possiamo affermare che dell vorrebbe essere la magia di una grande varietà di contemporaneo vecchio e didascalico. Possiamo affermare che dello ha dentro di sé l’economia semplice di chi in dell vorrebbe esserci. Possiamo affermare che l’arte oltre essere unica bella e affascinante è un luogo. Possiamo affermare che un luogo è fatto di persone. Possiamo affermare che le persone guardano i luoghi e le persone. Possiamo affermare che le persone vogliono stare nei luoghi. Possiamo affermare che i luoghi sono persone. Della mia esperienza da inviato all’arte dello schermo mi sono portato a casa un luogo. Sembra a volte di sommergersi di idee Senza mai desiderare la bellezza e la violenza Le semplici idee che ci mangiano la giornata Schiacciando il nostro desiderio. Questo anti istituzionale a me piace Mi eccita. La questione è quanto sia un’idea per raggiungere dell o un desiderio per la bellezza del mondo. Vostro Massimilano Hollebeck di Massimiliano Hollebeck, caricato sul blog di In Fuga dalla Bocciofila da
33TFF | Bocciofila goes to Torino
Nei giorni di Torino non ho scritto una riga, solo deambulato in uno stato febbrile tra una sala e l’altra e tra un bar e un ristorante cinese e uno torinese e la casa di Claudio in Corso Regio Parco (grazie Claudio, tra l’altro). Sono stato bene come si sta bene ai Festival in cui si è totalmente liberi di vedere, non vedere, scrivere non scrivere, fare tardi, perdersi, sentire freddo caldo medio, mettere una sciarpa non metterla, la canottiera, la camicia, rimbombarsi tutto il giorno la testa dalla mattina alla sera dentro al cinema, non pensare ai problemi della vita, che ne sarà di me la mia famiglia l’Europa mio nonno Brunello, strafarsi di cinema e basta: quella libertà là.
Un testo facile e uno difficile sullo Schermo dell’Arte
1. Passare dal mondo dell’ufficio, del lavoro, del chiacchiericcio, al mondo del cinema, dello schermo dell’arte, della video arte, è quanto più prossimo io penso sia lo shock culturale. E’ un salto impossibile, è un incontro non dato, è il respingimento, è respingente contro respingente. Il mondo fuori e lo spazio dentro, le mie colleghe e i loro discorsi, il televisore nuovo da acquistare, i figli, e questo vetro incomprensibile, queste superfici, mattonelle che vengono proiettate, con un rumore di sottofondo, una nota continua. Eppure mi sembra che quello che proiettano qui sia un continuo tentativo di rispondere a questa domanda: come spiegare queste immagini incomprensibili ai miei colleghi di lavoro, come spiegare questo reciproco respingimento? 2. Il Giovedì è la serata che conta. Il momento antitesi. Dopo lo sfarzo (il classico) del primo giorno, dei lustrini, delle file fuori, delle luci della prima sera, è il secondo giorno quello più difficile, quella serata che può spiegare davvero un festival. Lo schermo dell’Arte, cos’é? Arriviamo di corsa, alla spicciolata, donne del sud strappano i nostri biglietti (ma non c’è nessun biglietto da strappare), donne del sud al festival ci hanno pure fatto entrare, seppur in questo caso l’accento sia milanesissimo, e altre donne ancora siedono tutto intorno a noi: hanno i pantaloni “colore denim”, lo stesso lavaggio identico. Non è un caso, è solo la moda del momento. Scrivo qui in ultima fila una breve nota su un fogliaccio di carta assorbente, già pronto a partire per il festival di Torino, affranto per quello che mi perdo qui, per la serata tre (le esplosioni che sono il Venerdì, senza le preoccupazioni del domani, il Marzo), senza pensare al Sabato (l’apoteosi), senza pensare alla depressione della Domenica (ma di certo Domenica sarò di nuovo di ritorno in città). Andare via nel momento migliore, schermo dell’arte, con la tua presentatrice perfetta d’altri tempi flemmatica, con quella sua voce scivolata, quella sua cadenza nobile, quella freddezza e pantaloni larghi dove devono, ma che sto dicendo? E Ester che bella, non si può proprio dire niente al riguardo. Schermo dell’arte, che cosa bella siete voi che mi sedete a lato, che mi attendete su un divano, che mistero, che cosina che io non so dire, schermo dell’arte, già a scrivere queste righe su un pezzo di carta, lo so, io vi sto facendo un mezzo torto.
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