«Beh se ci pensi anche noi abbiamo alimentato il mercato delle merendine. Probabilmente abbiamo anche lavorato per Nestlé, è incredibile pensarci oggi, no?» «Non credo che abbiamo lavorato per la Nestlé, credo fossero soprattutto imitazioni delle merendine famose» «Secondo me invece il nostro compito, se lo avessimo preso seriamente, stava proprio nel dire se la merendina famosa e la sua imitazione fossero distinguibili tra loro» «Ma se arrivavano pacchi di “prodotto senza nome” che erano paleselente delle Fieste o dei Kinder Bueno» «No, se ben ti ricordi i prodotti misteriosi senza nome avevano dei numeri sopra e tu dovevi, secondo una tabella, mangiare i prodotti n°1, 2, 3 e dire qual era meglio, qual’era più dolce, più gustoso, se durante la settimana di prodotto n°2 avevi sentito la mancanza di prodotto n°1, eccetera» «Non mi ricordo di aver mai seguito la tabella» «No, ma probabilmente stavi lavorando -male- per Esselunga che voleva sapere se la sua finta Fiesta era credibile, o per Ferrero che voleva sapere quanto le finte Fieste si avvicinassero all’originale» «Ricordo che c’erano delle ovvie Girelle e non capisco perchè adesso tu voglia prenderti la colpa dell’obesità infantile dilagante o dei bambini che Nestlè asseta in Africa» «Non voglio prendermela, sto solo dicendo che in qualche modo siamo stati dentro il sistema merendine. Io ho sicuramente alimentato il mercato facendo quella pubblicità alla macchina che faceva gli ovetti di cioccolata, ti ricordi?» «Sì, certo, e ci sei rimasta malissimo che la cioccolata fosse tutta di gesso» «Già. Pensi che quel mio fidanzato che faceva i mattoni in cartongesso nei film d’azione potrebbe aver lavorato alla cioccolata di quella pubblicità?» «Penso che sarebbe una cosa veramente inquietante, avevi sei anni» «Beh, i conti tornano. Io però non ero molto carina in quel momento della mia infanzia, infatti hanno usato solo le mani. Tu invece eri adorabile» «Io ho fatto i Gormiti, ma il Furby è stata l’esperienza migliore» «Tu eri veramente molto più carino e simpatico di me, avevi già questi occhi enormi e ridevi sempre. Il mio sogno era fare le Lelly Kelly… » «Però tu hai fatto la cosa di Topolino» «Sì, questa cosa di Topolino l’ho usata per rimorchiare un sacco di volte» «Funziona?» «A volte si, a volte no» «Certo che sicuramente funziona meglio dire “io recensivo Topolino” che “io pubblicizzavo i Gormiti”» «Non so, secondo me i Gormiti attirano gente più sana. Che… leggi
Jouer avec le feu | Tutte le volte che abbiamo fallito
Avevo undici anni, la prima volta in cui ci ho provato, ma ci pensavo da che ho memoria. Da bambino, sicuramente ci avevo pensato molto.
Hanno ucciso l’Uomo Ragno | Non mi piace come si baciano gli adulti
Le piastrelle del bagno sono esagoni bianchi e blu. Francesca prova a contarle, le piastrelle, seduta sul water, con le gambe ciondoloni e i piedi che sfiorano il pavimento. Arriva fino a venti, a volte venticinque, poi gli occhi si confondono e ricomincia. Il rubinetto del lavandino gocciola. Otto, nove, dieci. «Ce l’ho!» Sabrina spalanca la porta senza bussare. Sabrina non bussa mai.
Inside Out 2 | I grandi escapisti
Chi sono i grandi escapisti?
Maxxxine | Cosa è la felicità
Petite Maman | Educazione montessoriana
Niente dura in eterno. Niente, tranne la loquacità di un bambino di tre anni e mezzo a casa con la febbre. Pur potendo dormire, il bambino si sveglia alle sei (temperatura: 37,4) e inizia la giornata descrivendo minuziosamente alla madre ogni tessera del puzzle da 104 pezzi sul quale è impegnato, soffermandosi sui colori, la fattura e lo spessore di ciascuna.
Piccole donne | Tutti vogliono toccarmi la pancia
«Il suo è un corpo eccezionale, signora». «Dice?» «Ha un fisico per sfornare bambini». «Non direi». «Non faccia la modesta, qui sotto va tutto a meraviglia». «I punti mi tirano». «Si riassorbiranno». «In che senso?» «Usiamo un materiale di sutura riassorbibile per queste lacerazioni, ci vorranno al massimo sei settimane, non se ne accorgerà nemmeno». «Ah». «Adesso può riprendere i rapporti con suo marito». «Come scusi?» «I rapporti. Con suo marito. Non ha detto che è sposata?» «Sì, sono sposata». «Altrimenti lui se ne trova un’altra». «Posso rivestirmi?» «Sì, abbiamo finito». Sposto le gambe dal supporto, mi siedo sul lettino. Scendo appoggiando la punta dei piedi sul pavimento. Le mattonelle sono gelide, irrigidisco i polpacci, poi i muscoli delle cosce, fino ai glutei. Infilo prima i calzini, poi le mutande, infine i pantaloni. «Mio marito non è così». «Fanno tutti così, si fidi». «Nemmeno mi reggo in piedi». «Può anche non stare in piedi». (ride) «Mi siedo ancora con la ciambella». «Gli uomini hanno bisogno di essere rassicurati quando nasce un figlio, di sentirsi ancora maschi». «Mi serve più tempo». «Quante storie, con un po’ di lubrificante non sentirà niente. E poi non deve per forza partecipare, lo faccia sfogare». «Posso andare adesso?» «Il prossimo controllo è tra quattro settimane, aspetti che fissiamo un appuntamento». «Va bene». «Giovedì 18 alle 15.30?» «Penso di sì». «Non faccia la timida, poi mi racconterà com’è andata».
Her | Emotivo
La prima volta non conta. La seconda è un indizio. La terza fa una prova.
Come un tuono | 0 RH –
La cosa più complicata nella gestione del dolore, pensava disteso lungo e immobile nel letto n°51, è non cedere alla tentazione di dargli una forma. Ma quali alternative restano?, si domandava, e finiva per dare al proprio dolore la sembianze di un grosso volatile intrappolato in una teca di vetro, e i vetri della teca sono i confini dei nostri corpi straziati, così diceva a se stesso, i vetri sono le nostre pelli, pensava, e sono vetri troppo puliti perché l’uccello possa vederli e non sbattervi contro furiosamente.
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