1860_Esterno giorno_ In una generica piazza italiana ottocentesca, ma potrebbe sembrare anche settecentesca o seicentesca: caotica, brulicante, anche le cose inanimate si direbbero avere vita propria, del fumo esce dal terreno come in un Averno o in una New York di fine millennio. Un messo regio con redingote, marsine lucide e calzari verde brillante annuncia per tutti e per nessuno, in piedi di fronte a una casa, lo sgombero imminente per far fronte alle esigenze di Firenze Capitale. Il mercato vecchio, con annesso ghetto ebraico, verrà di lì a poco brutalmente raso al suolo, per dare seguito alle deliranti idee di progresso di un certo Enrico Poggi. Da questa visione a volo di uccello ci abbassiamo fino a un gruppo di persone, si direbbe una famiglia, che cammina trascinandosi dietro un piccolo carro. Percorrono così via dei Fossi, scendendo in direzione del fiume, pronti a raggiungere l’Oltrarno, dove una qualche casa di parenti l’attende, con il lenzuolo d’ordinanza a dividere e duplicare lo spazio. Un uomo rosso e greve, apparentemente il padre di famiglia, stringe i denti e bestemmia verso il cielo in modo pittoresco, una lunga litania di ingiurie rivolte verso il Creatore che intrecciano, unendosi l’una con l’altra, una specie di ghirlanda. La moglie sorride stolidamente, guarda i nonni e i figli issati sul carretto ricolmo di robaccia e sussurra a mezza voce quanto detesta i traslochi.
Festival dei popoli | Home edition
Una volta un cuoco stellato ha detto che l’uovo al tegamino è la ricetta più difficile che esista. Il motivo è ovvio: perché è la più semplice.
59° Festival dei Popoli | Il popolo dei Popoli
Torniamo anche quest’anno al Festival dei Popoli, un evento che regolare scandisce le nostre vite già da molti anni, come un orologio a pendolo nella casa dei nonni che si guarda con un misto di devozione e d’amore, come qualcosa di vecchio e di nuovo al contempo.
Festival dei Popoli 58 | La retrospettiva del giapponese
Due parole sul 56esimo Festival dei pop(oli)
Già che anche per quest’anno è passato il Festival e Ernestina mi guarda dietro ai suoi occhiali dalla montatura leggera, sotto al cappellino, con occhi scintillanti e dice: cosa faremo adesso delle nostre sere? Mentre intorno a noi una piazza assume il venerdì sera come evento reale e in un certo senso qualcosa di cui è vero noi necessariamente assegneremo un valore morale (il lavoro quale alienazione, il week-end quale pillola compensatoria, il capitalismo come continuazione e dispiegamento di concetti giudaico cristiani), ma che di fatto è semplicemente qualcosa che accade, in quella piazza, a quei tavolini, e Ernestina appunto con i suoi occhiali, il suo viso da gran visir del documentario, che poi con fare perentorio (perentorio?) continua il suo discorso dicendo: mi ricorderò sempre di questo Festival, perché Staron mi ha cambiato la vita, come farò a tornare alla fiction dopo questa meraviglia?
Festival dei popoli | Appunti
quando all’odeon si va in alto in galleria e la sala è piena sembra di sentire il cinema respirare nell’unisono di tutte quelle bocche
Six degrees | Piccolo il mondo
Tra te che leggi ed io che scrivo ci sono massimo sei gradi di separazione (non ti fissare sulla parola “separazione”, in realtà si parla del contrario, si parla di come la nostra distanza sia colmabile).