di Luca Starita
She wore bluuuuveelvet ua ua
Canticchiatela, conoscetela, se non la conoscete ascoltatela. Focus sul “ua ua”, provate a dirlo in continuazione: ua ua, ua ua. Sono due note affini, martellanti, inquietanti, che aspirano al vuoto: ecco spiegata in due o tre aggettivi superficiali la filmografia di Lynch.
La canzone di Bobby Vinton è stata uno dei tre fattori che hanno ispirato la sceneggiatura di Velluto Blu. Gli altri due sono una sensazione (la sensazione di un velluto che ti sfrega la pelle) e una visione (l’immagine di un orecchio mozzato in un campo, con l’orecchio sinonimo di una parte del corpo, un buco che chissà dove porta – altro perfetto riassunto di un topos di Lynch).
La prima cosa che mi ricordo di Velluto Blu sono le tette di una Isabella Rossellini nel fior fiore dei suoi anni (lei trentaquattrenne nel 1986, anno di uscita del film). La seconda, che mi ricordo decisamente meglio, è il culo di Kyle MacLachlan. Ero a casa di mia nonna la sera in cui vidi questi due pezzi di pelle per la prima volta. La mia era una devota nonna partenopea con la fissa per le caviglie coperte e un marito silenzioso, sempre troppo silenzioso. Mio nonno mangiava la frutta, sbucciandola con il coltello, tagliandone un pezzo, mettendolo in bocca e masticando senza far rumore, con movimenti reiterati e ossessivi e con lo sguardo incollato alla televisione. Io dal divano guardavo interessato. Mia nonna irrompeva nel salotto proprio nel momento dell’inquadratura sulle tette della Rossellini strillando un “ma Mario! Ma ch staj guardann? Maronn, ma che so cos che s’anna vrè? Stut chella cos!”. Così finì il mio primo contatto con Lynch.
Col senno di poi, ho capito che quello che era appena successo nel salotto di mia nonna era un’epifania lynchiana, con le sue urla, le sue alterazioni, i suoi colori, le sue pelli, proprio seguendo il volere del regista per cui i suoi film andrebbero vissuti più che capiti (eh).
Velluto Blu si sviluppa in maniera apparentemente molto semplice: uno studente universitario di nome Jeffrey trova in un campo un orecchio mozzato e cerca di risalire al suo proprietario. Nella ricerca si imbatte nel male assoluto, incarnato nella persona di Frank Booth: da questo momento in poi, Jeffrey si perde in un mondo proibito di erotismo fino a quel momento sconosciuto. Non è da tutti imbattersi in questa serie di casualità, non è da tutti riuscire a dare sfogo alle proprie perversioni sessuali senza aver paura di ripercussioni.
L’ossessione erotica che in Velluto Blu appare cruciale, è uno dei capisaldi della visione lynchiana. La sessualità è un mondo che viene aperto se si entra senza freni e senza armi, ed è quello che subdolamente Lynch ci rivela, costruendo i suoi mondi su dualismi che non sono mai netti, come il cattivo e brutale Frank Booth che al solo sentire una canzone pop si scioglie in lacrime.
Sicuramente mia nonna che sgrida mio nonno per aver, senza pudore, guardato insistentemente le tette di un’attrice in tv non ha fatto altro che alimentare, in me, il desiderio di saperne di più su quel culo. E mi piace pensare che, forse, sia stata proprio lei, con le sue invettive, a dare il via alla mia adorazione per David Lynch.
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