di Tommaso Ghezzi
Mio nipote di 4 anni mi ha chiesto: «Chi è Hans Werner Henze?». In realtà non lo ha detto proprio così, ha detto una cosa tipo hanzeiderenz tanto che inizialmente pensavo contasse in tedesco. Stava pure finendo di masticare la sogliola. Gli ho risposto, mentre toglievo i bicchieri colorati in plastica rigida dal tavolo: «era un compositore tedesco con la Maserati che fumava troppo». Nel dirlo, ho notato che i poveri chiamano le automobili per metonimia, utilizzando cioè il nome del brand per indicare l’auto, con l’articolo femminile. I ricchi fanno lo stesso, ma col maschile. Il Maserati, il BMW, il Porche, il Ferrari. A dire la Ferrari, la BMW, la Maserati, sono solo quelli che queste automobili non possono permettersele.
Allora mi sono corretto, poiché in fondo ci tengo all’educazione di mio nipote, e ho detto: «Era un compositore tedesco con il Maserati, che fumava troppo».
Ho scandito talmente bene quell’articolo maschile, da farmi considerare la sintassi del periodo un po’ sghemba. Posta così, la frase era equivocabile. L’enunciato prevedeva una subordinazione con particella relativa, che senza punteggiatura visiva poteva non essere immediatamente comprensibile per un bambino di 4 anni. Insomma, mio nipote conosceva al massimo 40 vocaboli ed era obiettivamente pretenzioso mettersi a costruire un’ipotassi in sua presenza. In ogni caso, dicevo, posta così la frase sembrava che a fumare troppo fosse il Maserati, e non Henze. Allora ho scosso la testa, grattandomi il pomo d’Adamo, e dopo aver raccolto un po’ di muco al pedice della gola ho dato due colpi di tosse grassa, poi ho detto solo: «Henze era un compositore tedesco» e ho aggiunto, d’improvviso: «però ha vissuto a Montepulciano! In Toscana!»
Mio nipote mi guardava come si guardano i grumi di sugo sul fondo del piatto di pasta quando siamo sazi, e ho capito immediatamente che con quell’avversativa ex abrupto avevo esagerato. A quel punto ho creduto di pensare «merda». In realtà, quasi lo avevo gridato, e quando me ne sono accorto, ho detto: «cazzo!», perché di fronte ai bambini non vanno dette le parolacce, ed io ci tengo particolarmente all’educazione di mio nipote. Lui ha percepito la mia inquietudine e si è intristito, mettendo il broncio con il labbro inferiore sporgente e il mento contratto.
Guardando mio nipote sul punto di mettersi a frignare, ho pensato ai bambini che piangono nei film. Ogni volta che c’è un bambino che piange in un film mi chiedo sempre “come hanno fatto a farlo piangere?”, e mi viene in mente quella scena di C’eravamo tanto amati in cui Stefano Satta Flores dice che De Sica trovò un escamotage per far lacrimare Enzo Staiola, mettendogli in tasca le cicche di sigaretta e accusandolo di essere un poveraccio raccoglitore di tabacco di scarto. Ché poi, vabbè, non era nemmeno vero: De Sica si inventò tutto per creare parastorie, più culto, attorno al film. De Sica ha raccontato un sacco di stronzate.
Però tutti gli altri, come hanno fatto? Anche in una delle scene iniziali di C’eravamo tanto amati, svolta in un cineforum di Nocera Inferiore, in cui il Prof. Palumbo – interpretato proprio da Satta Flores – difende a spada tratta Ladri di biciclette di fronte al preside del ginnasio in cui insegna, c’è un bambino che piange, ma piange come se gli stessero infilando degli aghi nella pelle sotto l’unghia dell’indice, piange disperato, di una disperazione genuina, angosciante. Quel pianto dà una concitazione tremenda alla scena. È un pianto diegetico, sì: ma – penso io – quale abominevole essere umano devi essere per far piangere un bambino forzatamente con l’intrattenimento di un pubblico borghese come unica finalità?
Oddio, magari esistono pure genitori esausti, padri o madri di figli che urlano in continuazione, e allora non ci vedono nulla di male nel guadagnarci qualcosa. Certe volte i bambini sono proprio insopportabili. Ma come fanno? Quanti schiaffi sono stati dati ai bambini durante le riprese dei film nell’ultimo secolo, dall’avvento del sonoro in poi?
Il fatto è che mentre rimuginavo e rimuginavo su queste domande, pure serie, mio nipote è sparito e adesso non lo trovo più.
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