Il fumo che il letame sprigiona sale lento nell’aria fredda dell’Holstein: lievi volute senza fretta cercano di mimetizzarsi con la nebbia dell’alba. Tutto è pace: i campi arati, la stalla addormentata, le distese di pascoli a perdita d’occhio.
Darré cammina con passo lento e meditabondo, osservando ogni filo d’erba, ogni staccionata. Pensa che questa terra, questi campi, siano quanto di più vicino alla Natura sia possibile immaginare nel mondo contemporaneo. Non ci sono fertilizzanti chimici, né pesticidi per chilometri. I trattori sono sostituiti da mucche e buoi. Pensa che l’agricoltura sia l’inizio dell’umanità; che l’unità fra il contadino e i suoi campi, il lavoro onesto e continuo, la cura amorevole della terra, siano dei principi etici che rendono l’uomo migliore.
Sostiene che la natura abbia un meraviglioso e semplice modo di autoregolarsi: ogni razza, grande o piccola, nei millenni ha trovato una sua nicchia. I panda nella Cina carica di bambù, gli orsi bruni nella Foresta Nera, i lupi sulle Alpi. Non ci sono panda qui, a 50 km dal Mare del Nord. Ogni animale, ogni pianta, perfino gli insetti e i vermi, hanno un loro spazio vitale al quale appartengono e nel quale si sentono felici. Darré sospira pensando a quanto sarebbe tutto più facile se gli esseri umani fossero più simili a loro.
Un gruppo di cacciatori lo aspetta silenzioso, scortati da pochi cani dalle lunghe orecchie. Avvicinandosi, Darrè si aggiusta l’uniforme: le due piccole saette sul bavero destro, la fascia rossa al braccio sinistro con la croce uncinata, gli stivali neri e lucidi, il cappotto in piuma d’oca, tutto gli sembra inutile, un orpello volgare e lezioso. Guarda i cacciatori, vestiti con pantaloni logori in fustagno, scarpe in pelle basse e consumate, dei cappelli sformati a coprire le orecchie. Scacciano il freddo ignorandolo e sono tutti più alti di lui: sangue germanico o slavo, si chiede Darré. Quando li raggiunge, si mettono sull’attenti, in semicerchio e con i fucili in spalla.
«Cari ecologisti» scandisce «Che nome buffo: Sciurus carolinensis, altisonante per uno scoiattolo. Americano per di più». I cacciatori ridono bonariamente.
«Uno scoiattolo che ha invaso la nostra terra, rubando cibo, uccidendo i nostri scoiattoli rossi. Uno scoiattolo che l’uomo ha portato dove la natura l’aveva escluso. Che fare, dunque?» e, avvicinandosi, tocca uno dei fucili a due canne.
«Correggere i nostri errori» risponde qualcuno.
Darré annuisce distribuendo pacche sulle spalle. Dalle tasche tira fuori delle spillette del partito che i più provano ad appuntarsi sui panciotti sformati e logori. È così incongruo quel cerchietto rosso in mezzo a tutto il verde che li circonda: come suona volgare.
Mentre i cacciatori si disperdono nei campi, Darré rimane di nuovo solo. È tutto così semplice, gli viene da pensare. È tutto così chiaro ed evidente: ogni specie ha il suo spazio e la natura mantiene un equilibrio brutale ma giusto. La pietà cristiana – Darré sputa – è il vero abominio. Pietà è contaminazione, è inquinamento. Qui fuori non serve mentire. Ognuno ha conquistato il diritto a questa vita con il sangue di infinite generazioni. Madre Terra non fa sconti. Se solo riuscisse a farlo capire ai suoi amici a Berlino: l’elettricità, le auto, perfino le armi, stampelle per deboli. L’ecologismo, il ritorno alla natura sono l’unica strada per costruire un uomo nuovo, forte, inarrestabile e davvero ariano.
Darré cammina verso la fattoria immerso in questi e simili pensieri. Pensa a Jorth, figlia di Nótt e di Annarr, amante di Odino e madre di Thor. Pensa alla concubine di Odino, gigantesse dai nomi impronunciabili – Rindr, Gunnlǫd – a Hlódyn, a Njörd e a tutti quei germani affogati come sacrificio. Pensa a Tacito che ne scriveva come di barbari folli.
E proprio mentre sta per abbandonarsi al suo dubbio preferito, alla contraddizione del popolo tedesco – romano e germanico, pagano e cristiano – un cacciatore emerso dal canale che costeggia la braglia già seminata punta il fucile e spara.
«Questo è per mio padre: uno scoiattolo ebreo che valeva mille uomini nazisti» sussurra il cacciatore, e sparisce di nuovo fra il morbido della terra, il colpo confuso fra i tanti della campagna brulicante. Darré, occhi sbarrati, restituisce ai campi il ferro accumulato in anni di pranzi e cene di lusso, fertilizzando il viottolo che presto fiorirà di margherite e cavoli selvatici, bucaneve. Si sente appena l’afflosciarsi della giacca in piume d’oca, l’urina che bagna i pantaloni e si mischia con l’umido dell’erba pronta a esplodere verso una nuova primavera.
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