di Francesco Quaranta
Prima di tutto, un grosso temporale. Nuvoloni, di quelli che pare debbano squarciare lo spaziotempo e farmi cadere sulla testa l’anima de li mortacci mia. Un lampo, e vedo due sagome che limonano, protette, fino a quell’istante, dal buio – Everybody needs somebody to love, eccerto, ma nel lampo-fotogramma leggo l’espressione scoglionata di lui, che mollerà lei con la scusa puntuale del diluvio imminente, se non addirittura delle cavallette paventate da Belushi.
Un tuono, subito dopo, e stranamente non penso alle migliaia di pistole sparse nel mondo che vedrò sempre e solo nei film. Affatto, penso a un gigantesco amplificatore valvolare nascosto sulla Luna – gli americani, dopo la prima volta, sognano ogni notte di tornare sul loro sassolino bello e organizzare uno show in stile Super Bowl – e una corda di basso tesa tra Orzinuovi provincia di Brescia e Chicago Illinois che, colpita, vibra per un nanosecondo di puro terrore musicale. Poi chiamano da Huston per dire che i vicini si stanno lamentando e stop. Attacca a piovere.
Secondo: la percezione del tempo. Un film di due ore e spicci diventa per il suo spettatore-bambino un collage di momenti inanellati in ripetute visioni. L’incapacità di riconoscere una struttura narrativa che colleghi il punto-inizio al punto-fine favorisce la percezione di un piano dimensionale alternativo, dove l’entità “Dan Aykroyd in occhiali da sole” esiste perennemente in qualsiasi stato e la pressione del tasto play determina un collasso della sua funzione d’onda in una scena precisa. In questo universo infantile, rimettere insieme la vecchia band per fare cinquemila bigliettoni è un processo senza risoluzione, in continuo svolgimento. La visione critica dell’età adulta risulta dunque inconciliabile con il sistema descritto.
Terza cosa: i nazisti. Per vent’anni della mia vita non sono riuscito a prendere sul serio il fenomeno – eppure bisogna ammettere che è gente che fa di tutto per rendersi credibile. Il media audiovisivo non plasma il comportamento per emulazione (è chiaro a ogni individuo sano che non è investendo le persone o facendo volare per aria le loro macchine che si risolvono i problemi), ma fornisce tuttavia conferme subliminali riguardo i ruoli sociali (es.: la donna può essere solo sedotta e abbandonata dal musicista macho/avventuriere di turno, e contestualmente si rassegna anche) e le diverse ideologie (es.: i nazisti dell’Illinois come baseline per ogni reazione e riflessione di matrice emotiva sul fenomeno nazifascismo).
Quarta, finalmente: la musica. La mia necessità di trasformare ogni forma di nervosismo o di instabilità in un ritmo muscolare. Constatare però che: se Ray Charles e Aretha Franklin sono costretti a fare lavoracci per tirare a campare, allora non c’è speranza per nessuno.
Una quinta riflessione: il concerto è la messa del nostro tempo. Nella mia timeline, James Brown è il miglior Papa della storia. Vedo una messa danzante nella chiesetta di campagna non lontano da casa mia. Mi sforzo poi di immaginare una forma di trap cristiana per aggiornare il film, ma me ne annoio quasi subito.
Ancora un paio di cose.
Una: Carrie Fisher con un lanciagranate è il migliore ricordo che mi resterà della principessa Leia.
Due, ed è la morale: quando Dio affida missioni, si va sempre a finire con le cinque stelline di GTA.
Francesco Quaranta nasce a Orzinuovi (BS) nel 1989, ma appena può simula accenti differenti. È laureato in lingue moderne ed è socio di un ristorante. Compone canzoni con il progetto “Lauda” ed è suo malgrado redattore di Verde Rivista. I suoi racconti sono apparsi solo online su Verde, L’Inquieto, Scrittori Precari, Crapula e Narrandom e nell’antologia Vocabolario minimo delle parole inventate (Wojtek, 2019)
“SUO MALGRADO”?