di Riccardo Meozzi
Ho diciassette anni, forse diciotto. È giugno e fa caldo e cerco di sfangare la serata sul divano.
Voglio stare solo perché mi va ⎼ sono nell’età in cui le motivazioni sono difficili e la rabbia facile ⎼, e per evitare che qualcuno annusi la puzza dei miei piedi.
Mia madre, fiutando i nervi tesi, si siede accanto e si tira su gli occhiali con l’indice.
Che fai?
Pondero se risponderle. Osservo il lampadario, poi i libri di Patricia Cornwell sulla libreria e poi il televisore.
Mi sa che guarderò un film.
Lei fissa lo schermo nero, si volta perplessa e dice: che film?
Pulp Fiction.
Bello?
Boh, mento io, guardiamolo.
Due secondi dopo sto connettendo l’iPad alla tv. Mia madre aspetta paziente. Sorride e mi guarda.
Di che parla?, cinguetta a vuoto.
La prima cosa che vediamo con consapevolezza è Tim Roth, altrimenti chiamato Zucchino. Un secondo dopo mia madre chiede di tornare indietro; non ha capito la definizione di “pulp”.
Non è importante, dico io sentendo un sopracciglio tremare, goditi i dialoghi.
Mh-mh, ok.
Restiamo in silenzio per tutta la prima ora. Ad una certa, quando Vincent e Mia ballano il twist nel finto diner anni ’50 mi accorgo che mia madre dondola leggermente. La guardo: sorride e le lenti degli occhiali riflettono la scena, che vedo distorta e stondata, come se Travolta avesse già i chili che lo imbolsiranno da lì a una decina d’anni.
Guarda come ballano bene, fa lei, il tu’ babbo mica balla così.
Chissà perché sentirla dire una roba del genere mi fa venire voglia di trascinarla fuori dalla stanza.
Ma come ballano bene, dico io, lei sembra davvero sotto effetto di sostanze.
Ah perché, fa mia madre, in bagno si è fatta di cocaina?
Restiamo di nuovo muti. Più le scene e gli stacchi temporali si intervallano più il caldo aumenta.
Nella scena in cui Mia balla con indosso l’impermeabile di Vincent sento una vampata salirmi dai polpacci fino al basso ventre: una settimana fa, convinto che così potesse piacermi abbastanza da farci sesso, ho fatto ballare Girl, you’ll be a woman soon a Sofia.
Quando Mia va in overdose e c’è tutto il trambusto con l’adrenalina e lo spacciatore mia mamma si copre gli occhi, ma più che essere sconvolta dalla scena, che tutto sommato finisce presto, latra che non sta capendo niente.
Tranquilla, dico stirando le labbra, vedrai che ti piacerà.
La scena di Butch che recupera l’orologio la tiene in tensione. Suda anche lei – di un sudore rancido e posticcio – e quando alla fine l’onesto Butch crivella di colpi Vincent lei esulta come una groupie. Finalmente il film si sta avviando verso la fine, mi pare quasi di sentirla pensare; falso, purtroppo per lei ⎼ non per me.
Le scene successive, con gli stupratori, il salvataggio, e quella in auto in cui Vincent spara per sbaglio all’ostaggio, riempiono la testa di mia madre di violentissime tematiche BDSM, hashish bar, quarti di libbra con formaggio più grida isteriche su come la moglie di Jimmie prenderà la comparsa di un negro morto nel suo garage.
Il colpo potrebbe esserle fatale ⎼ la vedo già sull’orlo della crisi e dell’indignazione ⎼ ma arriva la scena finale: il diner, Vincent ancora vivo che discute con Jules di Dio e della valigetta, e infine i due rapinatori. Mia madre segue tutto in assoluto silenzio e alla fine, a schermo nero, si volta verso me.
Bello, dico, bellissimo, un grande capolavoro.
Ecco, fa lei subito dopo, lo sapevo. A te piacciono tutte queste cose strane, questa roba qua con tutta ‘sta violenza e il sangue e gli insulti. Ma chi sei? Io non ti riconosco più.
Guarda che questo è un capolavoro, ribatto, è uscito lo stesso anno che sono nato io.
Ancora?, sbotta, ancora con questa storia di ritenerti superiore a me e a tuo babbo? Basta, non ne posso più.
Esce dalla sala. Fuori la notte è completa, e dalla finestra aperta entra una lucciola che brilla due volte in sei secondi poggiandosi poi sul bracciolo del divano. La guardo bene, e con una manata bella secca la spiaccico sulla pelle color vinaccia.
Che bella l’estate, dico fra me e me.
BIO
Riccardo Meozzi, classe ’94, a quattro anni ha la bellissima idea di spaccarsi il sopracciglio, diventando così il precursore vivente di un famosissimo personaggio letterario. Pur non condividendo niente con quest’ultimo, decide tuttavia di scrivere: studia ancora, ma suoi racconti sono usciti su molte riviste e uno nell’antologia “A casa nostra, lontano da casa”, edita da Aguaplano e curata da Giovanni Dozzini, vincitore del Premio per la letteratura dell’Unione Europea.
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