di Luca Giommoni
Salve a tutti, sono Elia, ho 36 anni e sono un macrofilo.
Voglio dirlo subito, senza vergogna: la prima sega me la sono fatta pensando alla pianta del piede di mia zia impegnata a infierire sull’action figure di Ultimate Warrior. Quest’immagine ha accompagnato, vincolato, e modellato, il mio erotismo sin da bambino, dalla prima volta che mia zia, per accontentare le mie bizze, ha dimenticato l’artrosi e si è improvvisata gigantessa, regalandomi un appagamento simile a quello che si prova quando si assaggia la cioccolata per la prima volta. Proprio così. Tutti voi sapete a cosa mi riferisco e perciò capirete se ho cercato di conservare questa fantasia nelle varie età dello sviluppo, adattandola alle mie esigenze.
Potete immaginare il disappunto che ho provato nel vedere la pubblicità in cui Anna Falchi, gigantessa in bikini in giro per la città, lancia sorrisetti ai grattacieli anziché distruggerli, ma non potete immaginare la frustrazione che ho vissuto nel tentativo di produrre, nelle mie ricreazioni erotiche, un soddisfacente collage chimerico tra il corpo della Falchi e il piede di mia zia, un tentativo che ha dato come unico risultato la consapevolezza della mia totale incapacità di rifinire dettagli con la sola immaginazione.
Una mancanza che non sono riuscito a colmare neanche con l’avvento di internet, che mi ha servito su un vassoio d’argento schiere di donne e uomini pronti a esaudire le mie parafilie macrofili. Di certo, non posso fargliene una colpa se non sono stato in grado di gestire mentalmente i loro piedi o troppo germanici o troppo poco egizi. Lo stesso vale per tutte le ragazze che mi hanno lasciato, stanche di ritrovarsi plastici di città disseminati per casa, e di combattere la mia delusione quando, dopo averne per sbaglio schiacciato uno, manifestavano un’indesiderata afflizione. Come potevo spiegargli la mia inabilità a trasfigurare quel loro dispiacere in una sadica euforia di potere: mi mancavano le parole.
A chi, se non a voi, posso confidare l’erezione che ho avuto quando ho visto Godzilla al cinema, la presa di coscienza di fronte a una così perfetta effigie di dominazione? Con chi posso condividere, se non con voi, la fortuna nell’aver trovato una figura ben precisa alla quale attingere per evitare finalmente di distrarmi, e demotivarmi, nel ricrearmi da solo un adeguato prototipo feticistico? Pensate che altri capirebbero il tempo speso ad aspettare l’uscita del film in VHS, la pazienza nello scovare e nel ritagliare dalle riviste la foto del giusto piede; la precisione nello stoppare il nastro nell’esatto momento in cui esseri umani inermi stanno per essere schiacciati; la disciplina nel sovrapporre il ritaglio sulla zampa al solo scopo di ovviare all’unica nota stonata, ovvero il non antropomorfismo dello strumento di dominio? Credete che avrebbero la vostra stessa comprensione se ascoltassero tutto questo?
Appunto.
In conclusione, vi ringrazio per avermi ascoltato ed essere venuti così numerosi. Scusatemi se vi ho fatto tutte quelle domande e vi ho chiesto tutte quelle foto, ma potete capire benissimo le mie ragioni.
Adesso, possiamo cominciare.
Lì, sul tavolo, ci sono i costumi. Purtroppo ne ho trovati pochi da Godzilla, gli altri sono da dinosauro, ma andranno bene lo stesso.
Indossateli e ricordatevi di togliere scarpe e calzini.
Bene.
Ora mi sdraierò a terra e adagerò su di me questo modellino in scala di New York.
Ecco, così.
Vi ricordo solo un’ultima cosa: siete dei, siete giganti, il mondo è vostro, potete giocare a distruggerlo come volete. Più vi piace, più potete fargli male. Per voi, l’annientamento è amore.
Prego, iniziate pure.
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