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In fuga dalla bocciofila

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Lost in translation | Poi,

26 Agosto 2021 di Redazione

di Martina Vianovi

 

«Dove sono finiti i bicchieri?» chiede tua figlia voltandosi verso di te. È andata verso il pensile della cucina a colpo sicuro, ma lo ha trovato vuoto.

Le cade lo sguardo sul bicchiere che sta sul tavolo davanti a te, ma non fa caso alle bollicine di anidride carbonica che risalgono verso la superficie ed esplodono nell’aria calda del pomeriggio.

Sei tu che le osservi. Potresti sentirne il suono se avvicinassi l’orecchio. Potresti udire quella loro breve fuga in mezzo bicchiere, il loro scoppiare in superficie e perdersi nell’ossigeno. Liberarsi.

«Mamma, dove sono i bicchieri?»

Poco fa, tua figlia ha suonato il campanello e le tue dita hanno sussultato sul vetro del bicchiere. Quando è entrata, col suo soprabito e il bouquet di Kelly in braccio, ti ha chiesto «Sei pronta?»

Tu l’hai guardata, hai guardato il bouquet di Kelly e ti sei chiesta perché proprio lei abbia voluto occuparsi del bouquet della sposa.

Kelly.

Nessuno dice di no a Kelly.

Neanche tuo marito ha detto di no a Kelly. Non lo ha fatto in tutti questi anni — hai poi scoperto — e non lo farà tra qualche ora sull’altare.

Ma non è questo. Non è il matrimonio di tuo marito con Kelly. Non è il matrimonio, è che —

Quando è entrata, avresti voluto chiedere a tua figlia perché ha deciso di occuparsi del bouquet di Kelly, invece le hai risposto «Non sono pronta» e appena lei ha fatto la sua faccia interrogativa tu l’hai guardata e hai aggiunto «Devo aspettare che asciughi lo smalto.»

Adesso è lei a guardare te e ti chiede dei bicchieri.

«Mamma?»

Silenzio.

«Mamma?»

«Nel mobile.»

«Quale mobile?»

«In sala.»

«Perché?»

Non rispondi.

«Perché i bicchieri sono nel mobile in sala, mamma?»

«Uso sempre lo stesso.»

Guardi la risalita delle bollicine.

Tua figlia arriva in sala tracciando una nuova geografia della casa. Quando avrà sete, d’ora in poi, sarà là che troverà i bicchieri. Tanto non viene a trovarti spesso, fra Paul, i bambini e tutto il resto.

Torna in cucina preceduta dal rumore dei suoi tacchi e ti guarda con la coda dell’occhio mentre apre il rubinetto. Si versa l’acqua e beve tutto d’un fiato, senza respirare. Senti il suo deglutire e il suo riprendere aria appena dopo.

È alle tue spalle, non la vedi, ma sai che ti sta guardando. Lo avverti. Tua figlia fa il giro del tavolo e si ferma davanti a te.

Vi osservate, in silenzio.

Non è il matrimonio, vorresti dirle. Non è Kelly. Kelly è Kelly e con lei tuo padre è felice. O pensa di esserlo, e le due cose alla fine si equivalgono. Non è niente di tutto questo oppure è tutto questo, ma non ha importanza perché alla fine te ne esci con «È proprio un bel bouquet.»

Tua figlia guarda i fiori.

«Ero indecisa con le camelie, ma questi mi sono sembrati più adatti.»

«Delizioso, davvero.»

«Mamma, stai bene?»

Il cellulare di tua figlia squilla. Lei raggiunge la borsa continuando a guardarti, poi ci fruga dentro e si allontana col telefono.

Non riesci a sentire cosa dice, ma dal tono di voce capisci che si tratta di Paul. Tua figlia ha una voce diversa quando parla con suo marito, diversa rispetto a tutte le altre voci che ha in sé quando parla con chiunque altro. Non sapresti dire in che modo, ma è diversa.

Fuori dalla finestra, non si riesce a capire chi la spunterà oggi, fra il sole e le nuvole. Prima un raggio obliquo illuminava la fuga delle bollicine e proiettava l’ombra sul tavolo, ma adesso qualche nuvola è scesa sui grattacieli.

Quando tua figlia torna dal corridoio, la sua espressione non è la stessa di prima. Cerca nella sua borsa qualcosa che non trova e tu le chiedi «Vuoi una sigaretta?»

Ti guarda.

«Non avevi smesso, mamma?»

«Dipende dai giorni.»

Le fai un cenno. La scatola, là, in alto.

Lei prende la scatola dalla mensola e la apre. Dentro ci trova un pacchetto pieno per metà.

«Stai bene, tesoro?» le chiedi.

Tua figlia non risponde. Si tocca con la punta delle dita la collana che le circonda il collo. Ne segue la forma, asseconda le sporgenze. Sembra che spinga le dita fra la collana e il collo.

«Vuoi che ti allenti il gancetto?»

«Ne prendo una per dopo» risponde tua figlia mentre fa uscire una sigaretta dal tuo pacchetto e la fa scivolare nel suo, vuoto, che ricaccia dentro la borsa.

Tu ti alzi, ti avvicini a lei.

Richiudi la scatola.

«Dovresti parlare se qualcosa non ti sta bene, tesoro.»

Le dai le spalle per rimettere la scatola a posto.

«Dovresti riuscire a parlare.»

Silenzio.

«Dovresti riuscire a parlare quando qualcosa non —»

Ma senti il rumore dei tacchi di tua figlia scendere le scale: ha già preso la porta. La borsa e il soprabito li ha con sé. Ha lasciato il bouquet.

Ti avvicini, lo sfiori.

Ti guardi le unghie. Lo smalto è asciutto.

 

Prima di uscire ti volti verso la stanza.

Il tuo bicchiere sul tavolo. Unico, vuoto.

Fra qualche istante sarai in ascensore. Nella hall, passerai davanti alla postazione di Philip e lui esclamerà «Siete incantevole quest’oggi, Signora.» Tu ti fermerai, ti volterai verso di lui e penserai Non è il matrimonio, Philip. Non è Kelly. Non è mia figlia, non è la sua collana, non è lo smalto che ormai è asciutto e non sono le bollicine che si liberano dal bicchiere, è che —

È che c’era quest’uomo, Philip.

C’era quest’uomo. A Tokyo.

C’era quest’uomo che —

Non riesco a ricordare il suo volto.

Lui si ricorderà il mio?

Lui si ricorda il mio, Philip?

 

«Siete incantevole quest’oggi, Signora.»

Non dirai niente. Sorriderai, Philip spalancherà per te le vetrate dell’ingresso e tu uscirai dal palazzo stringendo il bouquet della sposa fra le braccia e interrogando il cielo per sapere chi vince, oggi, fra le nuvole e il sole.

Martina Vianovi è nata a Firenze e alle soglie dei trent’anni si è trasferita a Torino. Qui, si è diplomata alla Scuola Holden e adesso collabora con loro e lavora come autrice e storyteller freelance. Il mare resta la sua cosa preferita, ma le narrazioni sono l’unico luogo in cui davvero si sia mai sentita a casa.

 

 

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