di Elisabetta Meccariello
Fino a che punto sei disposto a spingerti per essere accettato. Cosa sei pronto a dire o a nascondere per mostrarti come gli altri ti vedono o credono tu sia. Siamo sotto tiro. Abbiamo storie da raccontare con gli occhi chiusi e una mano sulla bocca. Possiamo sempre essere un’altra versione di noi stessi. Con qualche orpello, celando le sbavature e spostando gli accenti, quando fa comodo, quando gli altri ce lo chiedono. Teniamo un sorriso di scorta. Fino a che punto sei disposto a esporti per essere amato?
– Questa non è una domanda, devi trovarti in quella precisa situazione per sapere cosa farai. E non è detto che tu lo capisca. Le cose accadono e basta.
– La tua è proprio la risposta di chi vuole farsi accettare.
(Guardava a terra e con la punta della scarpa smuoveva i sassi e la sabbia, era un movimento lento e concentrico, con un’eleganza che non credevo avesse, restava in equilibrio su una gamba, si chinava e raccoglieva un sasso).
Lui non si esponeva mai. Mai una presa di posizione solida, mai un’opinione forte, un’azione istintiva. Il suo pensiero era fluido, si adeguava a qualsiasi contesto relazionale. Le sue azioni prevedibili. Non potevi pienamente intuirne i gusti, le inclinazioni, i capisaldi, perché la sua versione delle cose era sempre in bilico, si adattava a tutto, poteva assumere qualsiasi forma e colore e odore. Eppure c’era una pulsazione nei suoi gesti, nel suo stare fermo e tacere. Qualcosa che racchiudeva e condensava tutti i presagi, le paure, le giornate inconcludenti. Qualcosa che racchiudeva tutti quegli attimi confinati nella coda dell’occhio. Quegli attimi che credi di vedere ma non esistono, che non vedi ma sai che sono lì.
(Con i polpastrelli accarezzava la superficie del sasso, poi lo prendeva tra pollice e indice e lo teneva a mezz’aria, davanti agli occhi, con una fermezza che non credevo avesse, ne scrutava lo spessore. Desideravo che sfiorasse anche me con quella cura, ma noi ci tenevamo per mano senza toccarci. Si tolse le scarpe e mise i piedi nell’acqua).
– Quando ti arrabbi gli occhi iniziano a tremare, è un attimo, una scintilla ti lacera il bulbo oculare, si apre uno squarcio di luce e buio e io riesco a vedere oltre, dentro la tua testa. Tu sbatti le palpebre due volte, velocemente, come se ci fosse un granello di polvere, poi un rigagnolo di sangue scende sulla guancia, non te ne accorgi, è un attimo, un istante in cui la rabbia ti succhia la ragione.
Adesso lo vedevo nella casa di sua nonna, in una grande cucina con i muri in tufo, i piedi si scaldavano sul braciere mentre mangiava patate e cipolle cotte nella cenere. Dalle finestre il bagliore delle fiamme e lo scricchiolio della legna che arde. Sul tavolo una tovaglia a quadri bianchi e rossi, piatti sporchi di sugo, mucchietti di fagioli e ceci secchi.
– Guarda che il compromesso è un pregio, non un difetto.
– Il tuo non è un compromesso, è soltanto un’accozzaglia di alibi.
– Ma che male c’è a voler essere amati?
(Fletteva il busto da un lato e ruotava il braccio, con un gesto rapidissimo lanciava il sasso, con una durezza e una violenza che non avevo mai visto e che per molto tempo non compresi. Osservavo il sasso rimbalzare sulla superficie dell’acqua, si allontanava fino a sparire. L’acqua era scura, torbida, fredda. Non ci mise molto a riempire i nostri corpi vuoti. Lui mi guardava e sorrideva).
– Tu credi ne valga la pena?
– Stare soli fa molta più paura.
Restava in piedi con le mani in tasca e lo sguardo di chi ha perso qualcuno o qualcosa e non lo ha mai accettato, anche se è andato avanti. Sulla sua faccia c’era il dolore ma sotto c’era un segno più spaventoso, una ferita che somigliava alla rabbia e al senso di colpa e alla malinconia e poi ancora più giù, in uno strato più profondo, c’era qualcos’altro, qualcosa che vibrava ed esplodeva in bolle e vesciche e aveva l’odore pungente del riscatto e dell’istinto di sopravvivenza. Sulla sua faccia potevi leggere cosa era successo o cosa doveva ancora accadere.
– E qual è il limite di sopportazione, quando esploderai?
– Penso solo alle conseguenze delle scelte che faccio.
Ci siamo persi di vista, non lo sentivo da anni quando è successo. Ho letto sul giornale che aveva acquistato tutto l’occorrente parecchi mesi prima e che in un cassetto conservava ancora gli scontrini. Ho in mente la linea della sua schiena mentre in piedi con le mani in tasca guardava nel vuoto, aspettando forse un fantasma. Adesso riconosco il suo sapore mangiando la neve.
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