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In fuga dalla bocciofila

Blog dal titolo fuorviante in cui si parla di cinema tra una divagazione e l'altra

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Bonding | Non so più che pesci prendere

30 Aprile 2019 di Redazione

di Lavinia Ferrone

Dove eravamo rimasti. Eravamo rimasti a Sex Education, una serie post-teen che aveva smosso le coscienze ad addentrarsi in un’analisi spietata su quanto fossero eccessivamente bigotte le serie teen anni 80’-90’ basate su stereotipi (ancora tremendamente attuali) costruiti su di un’impalcatura solida fatta di fondamentalismo cattolico per cui se facevi sesso (‘lo facevi’) prima del matrimonio l’ira diddio feroce si scagliava su di te facendoti venire un tumore. E alla fine lei muore.

Invece adesso Netflix ci ha sdoganato queste mini serielle che ruotano sempre attorno a personaggi iper stereotipizzati, anche se gli stereotipi sono leggermente diversi, ad esempio l’amichetto gay o il fatto che la brava ragazza dai buoni intenti non è più una verginella castana con le orecchie a sventola e la bocca un po’ storta, ma una figona con le unghie mangiate che fuma le sigarette, si deve mantenere da sola, legge Jung e non crede minimamente nei sentimenti. E insomma tutto questo ci aveva fatto riflettere su quanto i tempi siano cambiati perché si parla apertamente di sesso ingrandendo con la lente fino nel più morboso dei dettagli etc etc. 

Bonding la definirei una serie post-post-teen. Perché non si parla più di ragazzetti che vanno al liceo, siamo ai primi anni dell’università, ma gli stereotipi e gli argomenti sono gli stessi, portati ad un estremo talmente stremo che diventa sterile. La protagonista è di nuovo la figona super creepy dal passato oscuro che non parla con la madre da anni, non ha una famiglia (eh vedi cosa vuol dire non avere punti di riferimento morali), non ha amici perché risponde male a tutti eppure è la più brava del suo corso pur non aprendo mai mezzo libro (nessuna Emily Dickinson, nessun Dostoevskij, niente di niente), però si capisce che questa tipa ha una gran testa. Soltanto che a sto giro la ragazza per campare non sfrutta più l’escamotage dell’amico un po’ sfigato sensibilone. No, lei fa direttamente la mistress, la dominatrice, per campare quindi umilia uomini con problemi di sicurezza sfogati sulla loro attività sessuale, in sostanza gli piscia addosso. Rimane lo stereotipo dell’amico gay che in questo caso ha già fatto outing (post-teen) ma è comunque un insicuro, dolce e tenero che riscopre se stesso e le sue potenzialità diventando l’aiutante e socio in affari della ragazza. I problemi non sono più il college da scegliere ma neanche ommioddio potrei essere incinta, qui il problema è: mio padre è morto, la mia ragazza mi ha lasciato allora mi sono calato una badilata di acidi e sotto acido mi sono volato dal tetto rompendomi tutte le ossa del corpo. E sticazzi?

In sette episodi da circa venti minuti ciascuno succede tutto il prevedibile, tutto, del tipo che se io ora mi mettessi qui a scrivere una sceneggiatura secondo me non me la prenderebbero perché anche solo aggiungendo il momento in cui lei sta dando l’aspirapolvere, inciampa nel filo dell’aspirapolvere, batte la testa sullo spigolo del tavolino di vetro, finisce in coma farmacologico, quando si sveglia è subumana e trova un posto come cassiera della Lidl, sarebbe un far andare le cose in una maniera vagamente diversa dall’atteso, quindi no, mio dolce e impacciato amichetto omosessuale, facciamo che io riuscivo ad essere me stessa solo quando ero con te e che capivo che sotto la mia scorza da dura si nascondeva tutta la mia fragilità ma adesso grazie alla tua sincera amicizia riuscivo ad essere felice ed accettare che per vivere volevo sottomettere le persone. 

Questi ragazzi parlano di dita nell’ano, coprofagia (non fagìa, come si chiama quella pratica sessuale del farsi defecare addosso, ho detto defecare, per esempio, loro non si sognerebbero mai di dirlo), golden rain, torture, umiliazioni, anche se poi per umiliare un tipo gli dicono che ha il cazzo “come un microbo”, evvabbè, son ragazzi. L’unico colpo di scena che ti fa per un attimo pensare che finalmente la storia stia per prendere una piega alla io Hostel (il grado di aspettativa comunque si mantiene su un profilo pop), dura due minuti (che comunque è un quinto dell’episodio, per carità) e si risolve nella maniera più inutile che la storia delle storie delle serie abbia mai potuto partorire. Il mio pensiero dopo questa oretta e mezzo in attesa della cena è: sarà mica che adesso fanno il giro e la prossima miniserie teen o post-teen o pseudo-teen parlerà di una famiglia che vive in una casa accanto alla chiesa protestante di un villaggetto nel Connecticut dove il padre è un sexy pastore molto fertile che ha già avuto sei figli, sta per concepire il settimo (che poi saranno due gemelli) e la figlia maggiore è una scapestrata che usa i preservativi e ad un certo punto della serie scompare? Sarebbe bello, potrebbero intitolarla Seven Heaven.

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Postato in: Lo sfogone, Oceani di autoreferenzialità, Recensioni vere Tag: bonding, lavinia ferrone, netflix, sesso, seven heaven, sex education Fai un commento

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