di Alice Diacono
Meno due giorni alla Fase 2.
Sto facendo zapping notturno e a un certo punto eccolo lì. Tre metri sopra il cielo.
Non l’avevo mai visto. Ma quanto cazzo è vecchio? Sembra un film degli anni ‘90. Vado a vedere. 2004. Cazzo. 2004. Me lo ricordavo come fenomeno giovanile. Il problema è che quando è uscito ero giovane anch’io. Sedici anni fa.
Babi era il nome della protagonista. Con uno Scamarcio alle prime armi si messaggiavano col Nokia.
A un certo punto guardo meglio la mamma di Babi. Dove l’ho già vista?
Ma certo.
Oggi ho finito di vedere la seconda stagione di Baby su Netflix. Un sacco di cose interessanti in questa quarantena. Che coincidenza. L’attrice della mamma di Babi è la stessa della mamma di Ludovica la Baby, invecchiata. Tutto torna.
Babi sedici anni dopo è diventata una Baby. Continua a essere una liceale, va nella stessa scuola e porta la stessa uniforme. È passata dall’amore proibito per il suo bello e dannato direttamente a prostituirsi negli hotel di lusso dei quartieri bene. Step è diventato Damiano, sempre bello e dannato, anche lui passato dalle corse di moto clandestine direttamente a fare il pappone e spacciare erba. Il realismo capitalista non ha risparmiato nessuno. Pure i genitori sono gli stessi, ma per adattarsi alla new economy progettano app in cui usano i corpi delle figlie per le campagne marketing.
Sono passati sedici anni. La borghesia romana è la stessa ma sempre più decadente e adesso anche capace di autorappresentarsi. In mezzo ci sono stati la crisi, il terrorismo internazionale, la diffusione di internet, l’arrivo dei social network, le primavere arabe, Fukushima, la certezza della crisi climatica, lo scioglimento dei ghiacciai, Gomorra e soprattutto La grande bellezza che ha cambiato tutto, se per tutto si intende il cinema italiano generalista. Insomma comunque se siete cresciuti nella provincia piemontese in mezzo alla campagna certe cose proprio non le sapete. Poi se vivete il resto della vostra vita tra ai centri sociali e l’università le sapete ancora meno. Non conoscete nessuno che vive in quel mondo lì. Che ha fatto le scuole private con l’uniforme e poi si è iscritto, chessó, alla Bocconi o alla Luiss.
Così ve lo dovete vedere su Baby.
Guardo Baby come si guarda un documentario su una specie esotica.
Lo guardo perché mi mostra da vicino come funziona la borghesia – non l’avevo mai osservata da così vicino – e perché mi piace vedere gente che si spalma cose sulle labbra.
Oltre a Muccino che si faceva le canne durante l’occupazione al liceo con la madre ansiosa che voleva mandarlo dallo psicologo, avevo visto la descrizione intima di quel tipo di società urbana a me del tutto aliena solo in Caterina va in città.
Sono passati sedici anni. In mezzo la crisi economica che è anche e soprattutto crisi morale. Una società che corrompe i suoi giovani fin nella carne e non permette loro di vivere gli anni più spensierati (poi spensierati non lo sono per nessuno, ma non si sa perché continuano a chiamarli così. Io non tornerei a quegli “anni spensierati” neanche se mi puntassero una pistola alla testa). I giovani di quella società hanno appreso appieno i comportamenti dai loro genitori. Sono tristi riproduzioni in piccolo di rampanti manager in carriera e modelle tossiche-anoressiche con le occhiaie. Sono tutti imprigionati negli automatismi che la generazione precedente gli ha generosamente scaricato sulle spalle. Continuano a rimanerne intrappolati. Tutto viene fatto per “salvare la faccia”. Per avere il controllo sugli altri. I soldi sono solo un accessorio. Nessuno ne ha davvero bisogno. Il sesso è solo un altro strumento di controllo, di dominio. Nessuno prova davvero eccitazione o piacere. Tutti vogliono le Baby perché, anche se così piccole, sanno già stare in quel tipo di società, in quel tipo di ambiente. Sanno cosa mettersi, come comportarsi, che profumi usare, come calibrare l’ironia non facendo battute sconvenienti ed essere elegantemente di compagnia mantenendo l’atmosfera frizzantina.
Le Baby sono nate proprio quando usciva Tre metri sopra il cielo e la Babi protagonista viveva il suo primo amore romantico in stile “quella sua maglietta fina” e “ferma ti prego la mano”, “non l’ho mai fatto prima”.
In Baby la verginità l’hanno persa tutti, anche le nuvole, se mai è esistita.
Sempre per la serie “coincidenze di fine lockdown”, ieri ho cominciato a leggere Il terrorismo italiano. 1970-1980 di Giorgio Bocca. In un capitolo su Feltrinelli dice che la decadenza della borghesia è iniziata negli anni ‘20 del ‘900 “con l’avvento del fascismo che l’ha protetta, ma allontanandola dalla funzione politica”. Dopo la seconda guerra mondiale i figli della borghesia hanno dovuto scegliere: “o iniziarsi alla scuola del cinismo o coltivare, nell’isolamento dorato, gli oscuri rimorsi e la crisi di identità”.
Cento anni dopo l’inizio della sua fine, sedici anni dopo Tre metri sopra il cielo, e due giorni prima della fine del lockdown per la pandemia globale, con Baby possiamo finalmente dire che i figli della borghesia ce l’hanno fatta, sono riusciti a fondere le due cose.
Che cazzo farò quando si potrà uscire di nuovo?
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