Caro Mr. Eastwood – posso dire caro Clint? Lo dico – caro Clint,
questa è una lettera d’amore – lo è davvero – e solo per questo mi permetto di usare il nome proprio, un nome che – ci tengo tu sappia – ho sempre maneggiato con estrema cautela.
Clint. Quanti Clint esistono all’anagrafe lì da voi? Ammetto di non aver fatto grandi ricerche, ma sono pronta a scommettere che non sono poi molti. Un nome che ricorda un suono metallico – un bossolo di proiettile, una chiave, un meccanismo che scatta. “Clint!” Quasi una formula magica.
Non è stato un amore a prima vista, il mio. Più una cosa di quelle che all’improvviso ti fermi e capisci che è successo – e non te lo saresti aspettato, ma ormai è così e non ci puoi fare niente. “Clint!” La meccanica segreta dell’infatuazione si è mossa, le rotelline dentate hanno girato, microscopiche leve si sono appoggiate su minuscoli pistoni e il risultato è uno sbuffo di vapore a forma di cuore. Nel 1994 non avevo ancora dieci anni, guardavo di nascosto Un mondo perfetto su Rete Quattro e sono sicura che se la me stessa di oggi potesse proiettarsi su quel divano, in quel salotto e guardare la me stessa di un tempo che strilla a squarciagola supplicando Kevin di non mettersi quella mano in tasca perdio! – se potessi tornare lì, ecco credo che quello che vedrei è qualcuno che ha appena capito che la magica alchimia di sobrietà, conservatorismo, buoni sentimenti e dialoghi indimenticabili era quello che stava cercando da tutta la (breve) vita e che i cartoni Disney non avevano mai saputo dargli.
Si dice che non ci vuol niente a far nascere un amore, il problema poi è farlo durare. E invece è stato così facile per noi. A partire da lì ne hai infilato uno dietro l’altro – di film, dico. I ponti di Madison County, Mezzanotte nel giardino del bene e del male, Space Cowboys, Mystic River, Million Dollar Baby, sempre con quell’equilibrio perfetto di buoni vecchi valori di una volta, sano disgusto per la modernità e quel sentore di illuminazione incipiente di chi per illuminato non si è mai spacciato. E poi eccolo, Gran Torino, il capolavoro che mi ha fatto desiderare che tu fossi insieme mio nonno e il mio fidanzatino delle elementari – accostamento un po’ ardito, so che non approverai, ma che ci vuoi fare? “Clint!” È successo e basta.
E adesso quindi, adesso che da un po’fai solo roba che per amore – solo per amore – ci si può mettere all’anima di guardare, cose vagamente imbarazzanti tipo Invictus o Hereafter, o – vogliamo dirlo? – anche questo American Sniper, che tutti stanno tanto a criticare e che a me invece sembra uno di quegli epici tentativi di dire qualcosa di importante che poi inevitabilmente fallisce per debordare su territori a casaccio, ecco, anche adesso che veramente, esco dal cinema e rivorrei indietro i miei soldi, o anche solo le due ore e spacca di tempo che ci ho messo a vederlo, quel maledetto film, anche adesso dico, li guardo per amore, per amore di te che almeno ci provi, che ci hai sempre provato e che per un po’ ci sei anche riuscito, a dire qualcosa che magari profumerà un po’di stantio, ma è dannatamente bello, vero e sincero come un centrino ingiallito sul bracciolo di una poltrona.
Questa è una lettera d’amore per te, che ti chiami come una formula magica, per dirti che probabilmente non sei il tipo da trovate bislacche alla Interstellar che potrebbero davvero trasformati nel mio fidanzatino della scuola – e allora ci rinuncio, ma sappi che il giorno che te ne andrai con il suono di una moneta che cade, rotea e poi si ferma in equilibrio sullo spigolo – “Clint!” – il mondo mi sembrerà un posto peggiore. Più sporco, più cattivo, più triste senza quei grandi ideali impastati di battute da supereroe che mi hanno fatta innamorare – innamorare davvero – vent’anni fa.
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