di Luca Giommoni
Forse il signor Miller aveva trovato la vita così tosta e deludente, oppure aveva odiato il suo lavoro, o non sapeva fischiettare, o non era mai riuscito a divertirsi abbastanza le poche volte che aveva scopato, o non aveva mai suscitato l’invidia dei compagni di scuola, o nessuna donna trovava stimolante la sua compagnia, o non era mai stato portato per il foxtrot, o non aveva mai avuto un cane o, banalmente, gli avevano diagnosticato qualche brutto male, che l’unica cosa che gli restava da fare era ammazzare Blake Hill.
Ogni anno Colin Miller, croce al valore militare sul petto per essersi beccato due proiettili durante l’invasione anfibia di una striscia di terra di 728 metri nel Pacifico, era chiamato a raccontare parole come Patria, Onore, Dovere, Sacrificio, davanti a decine di ragazzini nella giornata conclusiva della settimana dedicata all’educazione patriottica. Ogni anno decine di ragazzini gli rivolgevano domande come «Signor Miller, come si diventa un bravo patriota?» e, ogni anno, Colin Miller guardava colpevole i colori accesi e le pieghe fiere della bandiera, appesa poco più a destra della lavagna, e mentiva.
Se la dura realtà dei fatti aveva voluto Colin Miller scapolo, la seconda guerra mondiale e l’esercito degli Stati Uniti d’America ci avevano messo una pezza sopra, in guerra nessuno doveva rimanere scapolo, e allora avevano pensato bene di trovargli un compagno. Era il cosiddetto “Sistema del Compagno”, una trovata dell’esercito, in cui ogni soldato doveva scegliere un compagno della sua squadra, per conoscerlo meglio e prendersene cura, considerato che, una volta al fronte, in pochi lo avrebbero fatto.
Il soldato semplice Blake Hill aveva scelto il soldato semplice Colin Miller, e Blake Hill, prima di atterrare su quella striscia di terra lunga 728 metri, non faceva altro che chiedere: «Colin, secondo te quanto ci mette un colpo di proiettile su una spalla a rimarginarsi? Qualche settimana? Un mese? E su un piede? E due colpi?» e, una volta atterrati su quella striscia di terra lunga 728 metri, non aveva pensato due volte a prendere in disparte il compagno e dirgli: «Colin, devo prendermi cura di te» dopodiché aveva tirato fuori un pezzo di pane dicendo: «È per evitare le bruciature della polvere da sparo» e solo dopo aveva preso la pistola e, attraverso una pagnotta, gli aveva sparato due colpi sul polpaccio sinistro e poi se ne era sparati altri due sulla spalla.
«Adesso ce ne stiamo qui ad aspettare l’ambulanza da campo» aveva annunciato fiero Blake Hill, steso su un pezzo di erba bagnata di quei 728 metri di isola del Pacifico. «Ci porteranno all’ospedale militare e lì, vedrai, una bella infezione non ce la toglie nessuno, sarà tutto in discesa».
«Signor Miller, cosa si prova a uccidere un nemico della nostra amata Nazione?» fu l’ultima domanda dell’annuale ciclo di incontri nelle scuole.
Il signor Miller non lo sapeva ma presto l’avrebbe saputo. Se negli ultimi cinquantadue anni aveva coltivato un’intima vergogna per aver ricevuto una croce al valore militare senza meritarsela, senza aver potuto esercitare né il dovere né il privilegio di uccidere o essere ucciso in nome degli Stati Uniti d’America, se continuava a mentire a tutti quei ragazzini, se viveva una bugia, oggi, quella bugia sarebbe cessata e, con lei, anche la vita di Blake Hill. Finalmente avrebbe potuto rispondere a cosa si provava a uccidere un nemico dell’amata Nazione. Finalmente aveva un indirizzo. Doveva solo prendere un autobus, un treno, un altro autobus, e si sarebbe trovato davanti alla casa di Blake Hill. Avrebbe estratto la sua calibro 38 dal marsupio e, dopo cinquantadue anni, avrebbe veramente meritato una croce al valore militare sul petto.
Il ragazzo stava innaffiando il giardino quando vide un anziano signore con un marsupio avvicinarsi a piccoli passi.
«Sto cercando Blake Hills» disse l’anziano. «È questa la sua casa?»
«Sì, signore, e questo è il suo giardino» disse il ragazzo. «Ma mi spiace informarla che Blake Hills è morto tre settimane fa».
L’anziano per poco non ebbe un mancamento.
«Signore, si sente bene?»
L’anziano fece di sì con la testa. Si asciugò il sudore dalla fronte e, dopo un po’, riuscì a dire: «Ha sofferto?»
«Chi?»
«Blake Hill».
«Per Dio, no!» fece il ragazzo. «È andato a dormire e non si è risvegliato: un infarto».
L’anziano storse la bocca.
«Io sono il nipote, Evan Hill. Mi occupo della proprietà del nonno in attesa che i miei genitori decidano a quale agenzia affidarla».
«Blake Hills ha avuto dei nipoti?»
«Sì, signore. Tre. Mia sorella Laura, mio cugino Rick e me» sorrise il ragazzo. «Ma lei chi è, signore? Un amico di mio nonno?»
«Non proprio» mormorò l’anziano. «Mi chiamo Colin Miller…».
Il ragazzo s’illuminò. «Non ci posso credere! Lei è quel Colin Miller? Proprio quel Colin Miller, quel Colin Miller che ha fatto la guerra con mio nonno?»
«Tuo nonno ti ha parlato di me?»
«Ci può giurare, signor Miller!» disse tutto contento il ragazzo. «Io, mia sorella Laura e mio cugino Rick siamo cresciuti con le storie sulla guerra del nonno… Buon Dio, non posso credere che sto parlando proprio con lei, signor Miller!»
«Tuo nonno raccontava della guerra?»
«Ogni volta che ne aveva l’occasione».
«E cosa diceva?»
«Diceva che Colin Miller era un vero eroe di guerra».
L’anziano sgranò gli occhi.
«Lo dovrebbe saper bene, signor Miller» continuò il ragazzo. «Mio nonno diceva che la vostra guerra era durata poco, ma il vostro intervento era stato decisivo. Appena arrivati sotto al fuoco nemico, diceva il nonno, nessuno ci capiva più niente, eccetto lei. Le bastarono pochi minuti per capire esattamente cosa fare. “L’azione eroica definitiva” la chiamava il nonno».
«Azione eroica definitiva?»
«Proprio così, signor Miller, lei si è preso cura non solo del suo compagno di squadra, ma anche del nemico, anche di interi alberi genealogici a venire».
«E come?»
«Sparando solo quattro proiettili che non uccisero nessuno ma che salvarono decine, forse centinaia, migliaia, di vite» gli ricordò pieno di ammirazione, il ragazzo. «Due se ne sparò sulla gamba, altri due sulla spalla del nonno».
Colin Miller sbiancò. Piantò le mani sudate sulla calibro 38 da sopra il marsupio, come se fosse l’unico appiglio per non perdere l’equilibrio.
«Io non ho mai fatto una cosa del genere» balbettò agitato. «È stato tuo nonno, io…»
«Suvvia, signor Miller» lo tranquillizzò subito, il ragazzo. «Come diceva il nonno: Non ha importanza sapere chi ha fatto qualcosa di buono, l’importante è sapere che, da qualche parte, c’è ancora qualcuno che la possa fare».
Il signor Miller aprì la cerniera del marsupio.
«Mio nonno diceva che era un’ingiustizia che vi avessero dato solo una croce al valore militare. Avrebbero dovuto farvi generali, capi maggiori dell’esercito, per insegnare a tutti l’unico modo in cui andrebbe sempre combattuta una guerra: senza farsi ammazzare e senza ammazzare nessuno».
Il signor Miller mise una mano dentro al marsupio, il ragazzo invece la mise sulla spalla dell’anziano.
«Signor Miller, le andrebbe di trattenersi a cena?» gli disse. «Fra poco dovrebbero arrivare mia sorella Laura, mio cugino Rick e i miei. Per la mia famiglia sarebbe un vero onore cenare con lei, con un vero eroe di guerra americano. D’altronde, se esistiamo, se siamo vivi, è anche merito suo».
Poco prima di entrare in quello che era stato il salotto di Blake Hill, il ragazzo disse: «Signor Miller, il marsupio» indicando l’oggetto lasciato in un angolo della veranda.
«Oh» disse Colin Miller. «Può rimanere lì, tanto non c’è niente di importante dentro» e lo disse come un vero patriota.
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