di Carlo Benedetti
– Ti ricordi quando ti infilavano un ago sotto la palpebra? – rideva – Quello non era noioso di certo.
– Ma dopo dieci minuti non sentivi più nulla, il ricevitore neanche si vedeva, un’ombra in alto a destra, – agitò la mano leggera, quasi scarnificata dalle rughe e dalle creme – la cataratta mi fa tornare in mente quando ero giovane!
Risero entrambe, sedute su un sofà rosso che illuminava la stanza tutta beige, fatto apposta per attrarre. Dietro lo specchio sorridevo anch’io perché tutto andava esattamente come avrebbe dovuto, senza bisogno che facessimo nulla, se non osservare. E benché osservare sia già intervenire, è un intervenire minimo, un grado zero dell’intervento, necessario per una società in cui l’interazione è inevitabile.
A fine test mi fermai a bere un caffè, prima di trascinarmi al piano di sotto. Tutte le volte che dovevo scendere, bevevo e mangiavo, anche solo un biscotto. Era certo un’eco dell’ansia rimossa che si faceva sentire. Invidiavo i miei colleghi che si occupavano delle donne come soggetto del desiderio: un lavoro affascinante che richiedeva una comprensione assoluta dei livelli noia e del decadimento progressivo d’interesse. Con l’ultima versione gestivano 125 variabili, tutte interattive e correlate. Mi sentivo sempre piccolo quando pensavo alle possibili combinazioni: 125 per i dieci livelli standard, per 125, senza contare le tavole aggiuntive per i diversi orientamenti. Gli uomini come soggetto del desiderio erano molto più semplici, avevo dovuto faticare per convincere l’azienda che 15 variabili erano poche e che le tavole aggiuntive servivano agli uomini come alle donne.
Erano pensieri rischiosi, questi. L’orologio vibrò nel taschino e si accese di un verde primavera che sfumava in giallo: di questo passo avrei dovuto presto aumentare il livello svago da cinque a sei. Ero ancora troppo giovane per aver bisogno di un sei. I miei compagni d’università erano ancora al quattro, ma anche questi erano pensieri pericolosi: i paragoni accelerano la velocità di decadimento. Sospirai mentre l’ascensore partiva e fortunatamente ero solo: i sospiri non erano ben visti.
L’odore era diverso, al piano di sotto. Gli uomini che passavano da qui erano casi gravi: tutti livello svago nove o peggio. Faceva male al cuore vederli: sguardi persi, magliette fuori moda, capelli sporchi e troppo lunghi. Era impossibile tenere il loro livello noia sotto controllo. Il corridoio che portava alla stanza dei test era ricoperto di foto dei primi anni dell’azienda, quando ancora una donna adulta, di 30 anni o più, funzionava su un livello 8 e un livello 10 reagiva tranquillamente con una neo-laureata di 24 o 25 anni. Entrai. Nella sala accanto un quarantenne goffo, cresciuto nell’esoscheletro di un adolescente, sedeva tranquillo davanti a una ragazza appena maggiorenne con la minigonna più corta che fosse disposta a portare.
– Quindi? – chiesi al collega che sedeva davanti allo schermo.
– Nulla, non si muove.
– Hai provato con la musica?
– Musica, odori, luci, conversazione, contatto casuale. Non si muove.
Ticchettava con una matita sulla barra del livello noia, calcolato quindici volte al secondo come media ponderata. Stabilmente un 9 che lampeggiava rosso.
– Potremmo provare con il protocollo Sorellina – disse senza guardarmi.
– Su un 9? A 40 anni?
Rimanemmo in silenzio entrambi. Lo sapevano tutti che il livello noia base di chi aveva meno di 50 anni stava peggiorando. E accelerava. Presto non avremmo più saputo come compensare. Mi chiedevo cosa fosse troppo, dove era necessario fermarsi.
– Hai altre idee? – mi chiese.
Mentre stavo per dire qualcosa, squillò un telefono, illuminando la stanza.
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