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In fuga dalla bocciofila

Blog dal titolo fuorviante in cui si parla di cinema tra una divagazione e l'altra

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The Mule | Dalla parte dei vecchi

1 Marzo 2019 di M.I.G.L.I.O.

di Francesco “M.I.G.L.I.O.” Migliorini

 

Il mondo del cinema, come quello delle altre arti, è ossessionato dalla ricerca della nuova moda, del nuovo autore, della nuova wave. Capita così, ogni tanto, di scordarsi che i pezzi grossi, quelli che erano nuovi autori 40, 50 o 60 anni fa, sono sempre in giro.

La narrazione dominante ce li racconta ormai definitivamente impazziti (Godard), improvvisamente bolliti (Malick) o irrimediabilmente senili (Eastwood). Eppure, col sopraggiungere dell’anzianità, molti di questi artisti sembrano tornare bambini, liberi e radicali, e mettersi integralmente a nudo. E i loro film, pure se le nostre antenne sono ormai sintonizzate altrove, ci dicono qualcosa che forse vale la pena ascoltare.

The Mule, l’ultimo film di Clint Eastwood, è un’opera molto personale. Fa parte di quel sottoinsieme di film in cui Clint interpreta una qualche versione di se stesso e fa i conti con la propria figura, pubblica e privata, e la propria eredità di uomo e artista. È un sottoinsieme vasto ed eterogeneo, che contiene alcuni dei suoi film più noti: da Gli spietati, il western con cui vinse il primo Oscar nel 1993, fino a Gran Torino, che rimaneva fino oggi quanto di più simile a un testamento artistico.

The Mule, basato sulla storia vera di un 90nne divenuto corriere della droga per un cartello messicano, è l’occasione per firmare un nuovo testamento, forse quello definitivo.

Earl, l’anziano protagonista, è stato un floricoltore di successo. Troppo preso dal proprio lavoro e dalla propria affermazione, si è separato dalla moglie ed è divenuto un estraneo per la figlia (interpretata dalla vera figlia di Clint). Entrambe provano forte risentimento per i suoi decenni di assenza, indifferenza e infedeltà.

Adesso Earl si ritrova anziano, solo e in bancarotta. Un po’ per aiutare economicamente la nipote che si sposa, un po’ per sfida, un po’ per assenza di alternative, Earl diventa un corriere della droga. Sulle sue tracce un agente della DEA, quasi una sua controfigura più giovane, anch’egli a rischio di tralasciare la famiglia per il lavoro.

A un certo punto, in maniera molto classica, Earl dovrà scegliere di nuovo tra il lavoro/la salvezza e la famiglia/l’assunzione di responsabilità.

È un nuovo film-testamento, in piena tradizione eastwoodiana, che è un concentrato di contraddizioni insanabili: una riflessione amara sul proprio fallimento come uomo e padre di famiglia e al tempo stesso una storia di redenzione; la consapevolezza senile che il proprio tempo è ormai passato e insieme la vitalità di uomo che ama ancora farsi due squinzie in un colpo solo; un’ode alla libertà individuale, uno sberleffo al politicamente corretto e insieme un requiem per il sogno americano.

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Postato in: La sindrome del personaggio secondario, Recensioni vere Tag: Clint East, clint eastwood, gli spietati, godard, gran torino, Malick, the mule Fai un commento

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