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In fuga dalla bocciofila

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The Menu – Al macello

10 Febbraio 2023 di Redazione

Essi Vivono ST02, ep8

di Raffaele Calvanese

 

 

 

Prima di tutto la spesa. Scegliere gli ingredienti, passare al setaccio le parole.

Apro il giornale, guardo la televisione, parlo con i colleghi: la casa di un criminale è un covo, le rivelazioni di qualche personaggio pubblico sono “shock”, le mani sono nodose. Una ricetta che si ripete, sempre uguale, che racconta una vita senza sapori, che propina i soliti aneddoti, mostra fotografie identiche, arieggia continuamente la stessa stanza. Si può dare sapore in molti modi, condire con parole nuove o con ingredienti complicati.

Il supermercato mi piace perché è asettico, sembra di stare in un’astronave senza odori. Mi aggiro tra gli scaffali, cerco con calma i miei ingredienti, compongo le parole, seleziono i pensieri. Un prodotto che è stato coltivato in Sudamerica adesso è qui, nel mio Paese, nella provincia del niente. E magari, dopo tutta quella strada, lo chiamo nel modo sbagliato, lo uso per cucinare un piatto banale. Scelgo frasi idiomatiche per soffriggere una cipolla che forse è uno scalogno e nessuno capisce quale sia la differenza. Anche le nostre emozioni sono così, non sappiamo come chiamarle, non sappiamo come cucinarle, ignoriamo i tempi di cottura, sbagliamo i nomi, sbagliamo i modi e il sapore muore, prima di noi.

Ci amiamo o ci stiamo semplicemente facendo compagnia? Il sale dell’Himalaya è soltanto ruggine e ce lo vendono come se fosse un prodigio della natura, una prelibatezza dalle mille proprietà benefiche, tra l’altro viene dal Pakistan, ma forse nessuno comprerebbe sale colorato pakistano. Chi sentiva il bisogno di condire la propria sogliola con sale dell’Himalaya qualche anno fa? Io di certo no, eppure eccomi qui a vagare nella sezione spezie come un cosmonauta stordito dall’assenza di gravità. Togliamo gravità a molte cose che ci succedono altrimenti il loro peso ci schiaccerebbe.

Passo al reparto della carne: spinacine, cotolette impanate, nuggets di pollo, cordon bleu, panatine, hamburger tutti uguali, salsicce, polli allo spiedo. Mi gira la testa, ingoio saliva e sento la gola grattare, sudo freddo, mi aggrappo ad un frigorifero. Un commesso  mi chiede di non stare appoggiato, muovo qualche passo incerto, la luce dei neon mi stordisce. Poi si spegne tutto.

Apro gli occhi. L’espressione dei polli sul rullo che li trasporta alla macellazione è di serena incoscienza, la stessa con cui guardiamo alcune cose che capitano sulla nostra tavola. Chi è in gabbia e chi è libero davvero? Non so dirlo. L’altro giorno ero solo, il collega in pausa sigaretta. Uno dei polli si divincola dal gancio e salta giù dal rullo, in fondo alla sala la porta è aperta, lo guardo e non muovo un dito. Scappa!, gli dico, liberati! Quasi urlo per farlo correre più veloce verso l’uscita. Lui invece resta fermo, come se mi chiedesse di rimetterlo al suo posto. Il collega torna, lo raccoglie, lo attacca di nuovo al gancio e tutto riprende il suo corso fino al suono della sirena. Il turno è finito e ci danno il cambio, qualcuno pulirà le vasche con gli avanzi, qualcuno laverà il sangue raggrumato per terra ma la puzza e l’odore delle sostanze chimiche non le toglierà nessuno. Vado a spogliarmi e trovo un ragazzo che dorme su una panchina gelida con la tuta di plastica lavabile a fargli da coperta, aspetta il suo turno, aspetta un’altra sirena.

Torno a casa che è mattina e tu non ci sei. Sei in ufficio mentre io stacco dal turno di notte. Butto i vestiti in una cesta sul balcone e quando è abbastanza piena li metto in lavatrice. 90 gradi per lavare via gli odori. Mi piaceva cucinare, mi piaceva leggere, forse mi piaceva anche vivere ma ora sembra avere tutto quel retrogusto di sangue rappreso e detersivi. Sulla tavola una lista della spesa e un libro di poesia. Scrivere non serve a niente, la poesia non muta nulla. Nulla è sicuro, ma scrivi. Quando sono al supermercato ogni tanto trovo a terra una lista della spesa, la leggo e immagino la giornata di chi deve comprare uova, farina e kefir. Di chi è stato mandato a prendere olio di semi di girasole e carta igienica. Assorbenti con la marca scritta tra parentesi. Pods per lavastoviglie e vino bianco. Metto la mia lista della spesa in tasca e mi perdo tra le corsie.

Torni a casa e sei stanca, io mi preparo ad uscire. La cena è il momento migliore della giornata. Le nostre stanchezze si incontrano e si stringono e respirano, nonostante il senso di morte che si trascinano dietro, ognuna a suo modo. Quando ci salutiamo ci diciamo “a stasera” ma stasera è tra un milione di anni, penso. Stasera saremo due persone diverse, con meno sogni, con più paure. Ogni tanto scriviamo una poesia e per qualche minuto ci sentiamo più leggeri. Lasciamo affondare l’inchiostro sulla pagina, sperando così di restare a galla. Scegliamo con cura le parole, dedichiamo loro il nostro tempo, misceliamo i pensieri, come in una ricetta in cui ogni elemento si completa nell’altro: è questa la nostra via di fuga.

Sul fuoco la pentola che bolle, sul tavolo tutti gli ingredienti. Ti ho offerto del vino, ci siamo abbracciati e abbiamo messo un po’ di musica. Ti sei avvicinata ai fuochi per indovinare la ricetta ma stasera ho in serbo una sorpresa che non posso svelarti. Una volta sono stato a casa di un collega macellaio, aveva una linea di coltelli personalizzati su cui aveva fatto incidere il suo nome, ne andava fiero. Vorrei raccontartelo ma mi giro e ti sei addormentata sul divano. Sei seria e bellissima. Guardo la tua mano che ciondola sfiorando il tappeto, devo ricordarmi di levarti gli anelli. Il tuo sapore è dolce e severo e violento, hai reso quel piatto speciale, finalmente il Menu è completo.

Poi è suonata la sirena e mi sono svegliato, la panchina era gelida e la schiena mi faceva male, ho messo la tuta di plastica, infilato i guanti, ho stretto il cappello sulla testa e ho inforcato gli occhiali di protezione. Ho scansato il velo di plastica semirigida macchiata di sangue e sono entrato. Un altro turno, altro sangue, altra puzza, altre vite al macello.
Buon appetito.

 

—
Raffaele Calvanese (S. Maria Capua Vetere, 1981) è speaker radiofonico e giornalista musicale. Scrive per “Oca Nera Rock”, “Inside Music”, “ShockWave Magazine” e “Liberementi”. Figura tra i collaboratori di “Poetarumsilva” e tra gli autori della rivista “Malgrado le mosche”. Nel 2019 pubblica il suo libro d’esordio Di che cosa parla veramente una canzone (Scatole Parlanti). Nel 2021 un suo racconto è nella raccolta Il mistero del cuore curata da Antonella Cilento (Edizioni Spartaco). Nel 2023 pubblica il suo secondo libro Dal mio ufficio si vede il male (‘roundmidnight edizioni).

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