Del passato racconto sempre le stesse cose. Aneddoti, storie, incontri, solite recite, solite persone. Anche il modo di raccontare è sempre lo stesso. Mai un cambio di registro, mai un colpo di scena, nemmeno una variazione sul tema. Come se il passato fosse una carrellata di eventi memorabili. Eppure, quasi mai si tratta di eventi rilevanti. Sono cose di poco conto, di quelle da dimenticare nell’attimo in cui avvengono, al massimo il giorno dopo. Più che fatti straordinari, sono fattarelli. A volte sono solo lampi.
Come quella sera che ero in macchina con Silvia, non ricordo se fosse estate o primavera ma doveva essere caldo perché i finestrini erano abbassati e per capirci parlavamo a voce altissima, non so di che argomento, non so nemmeno dove fossimo dirette. La radio passava Sfiorivano le viole ed era la prima volta che la sentivo. Non è una vicenda segnante, non ci ha cambiato la vita, eppure, quando mi capita di ascoltare o canticchiare quella canzone, mi torna alla mente l’immagine di quasi vent’anni fa.
(A questo punto potrebbe accadere qualcosa. Oppure no).
Le cose importanti le tengo per me. A volte per pudore, a volte perché non sono capace di raccontarle, a volte perché penso non interessino a nessuno. Oppure sono questioni che non si affrontano, che non si dicono, faccio finta non siano mai esistite o lascio intendere che non mi abbiano toccato o turbato. Sono stipate così in fondo alla coscienza che a volte ho il dubbio siano accadute veramente. Le tengo al riparo da sguardi maliziosi e orecchie indiscrete. Perché le cose esistono solo nel momento in cui le racconti.
Pensa come sarebbe chiudere gli occhi e riaprirli dopo quarant’anni.
Spesso non so collocarli nel tempo, i ricordi. Devo fare un calcolo approssimativo o procedere per tentativi. Cosa facevo in quel periodo? Che macchina guidavo? Avevo già conosciuto Tizio? Mi ero già trasferita? Dove vivevo? E con chi? Posso azzardare un arco temporale di tre o quattro anni.
(A questo punto dovrebbe accadere qualcosa. Oppure no).
Che poi la maggior parte di questi fattarelli possono essere apprezzati solo dalle persone presenti in quel momento, quando il fatto avveniva. Ti ricordi quando siamo andati in quel posto? Ti ricordi quando abbiamo visto quella cosa? Succede che non ricordino ed è una delusione: com’è possibile che non ricordino? Per noi è un’immagine così vivida, sembra recentissima, di ieri o al massimo di tre giorni fa. Oppure ricordano benissimo e sono entusiasti e aggiungono nuovi particolari e ti viene da sorridere perché quella sciocchezza ha avuto un significato anche per qualcun altro, perché quel momento, per qualche oscura ragione, si è impresso nella memoria di chi lo stava vivendo. Ecco come un fattarello diventa un fatto straordinario.
Pensa come sarebbe chiudere gli occhi e riaprirli dopo quarant’anni e scoprire che i capelli sono diventati grigi o bianchi o che di capelli non ne hai proprio più. Oppure gli occhi sono sempre stati aperti ma le immagini ti sono passate davanti e non hai potuto afferrarle. Pensa come sarebbe risvegliarsi dopo quarant’anni e scoprire che tutto quello che avevi non esiste più. Rifaresti tutto da capo? Oppure penseresti solo alle cose importanti? E quali sono le cose importanti?
Capita di fare un sogno particolare, magari assurdo o con dettagli riconoscibilissimi, inconfondibili. Per un attimo apri gli occhi, sei nel tuo letto, è buio, il sogno è ancora lì che ti trattiene, ti tiene stretto, le palpebre sono pesantissime, le sbatti due o tre volte finché non ti sembra di essere sveglio. Vorresti scrivere cosa stavi sognando, magari per raccontarlo a qualcuno, magari perché è un sogno molto bello o premonitore e non vuoi dimenticarlo, o invece è un sogno molto brutto o pauroso e temi per la tua incolumità o per quella di un amico o un parente, o forse solo per esorcizzarlo. Insomma, alla fine il sonno ha la meglio e mentre ti abbandoni e ti arrendi e le idee si confondono pensi «è un sogno talmente assurdo che me lo ricorderò per forza». La mattina ti svegli e del sogno non c’è più traccia, o meglio, qualche sentore è rimasto, sai che hai sognato qualcosa e che non volevi dimenticare, allora ti concentri, cerchi di rammentare un dettaglio, un suono, un’immagine sfocata, un odore, e invece no, niente. Altre volte invece sì, ti torna alla mente, per un attimo, e pensi, «ecco cosa ho sognato, me lo ricordo benissimo», così ti alzi, fai colazione, fai una doccia e il sogno è scomparso, non riesci a frenarlo.
Con i ricordi mi perdo nelle stesse dinamiche. Accadono cose che penso non dimenticherò mai, che rimarranno nitide e intatte e ferme nella mia mente, e invece le immagini impallidiscono, i contorni svaniscono. A volte vorrei far fiorire un ricordo, un ricordo diverso, uno che non faccia parte della carrellata del best of. Vorrei curarlo e annaffiarlo e vederlo crescere, germogliare, arrampicarsi nella memoria fino a sbocciare, fino a incantare tutti con una meravigliosa fioritura. Ma non ho mai avuto il pollice verde. A volte mi chiedo cosa racconterò tra venti o trent’anni. Forse sempre i soliti aneddoti.
(Ormai è tardi, non è successo niente).
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