di Silvia Fornaroli
Se non riesci a tenere la mano appoggiata sull’asfalto per almeno cinque secondi, c’è il rischio che camminando si ustioni i polpastrelli!
L’ho sentito in una pubblicità, mentre aspettavo che il film iniziasse. Pare che i veterinari raccomandino di fare questo test prima di portare i propri cani a passeggio. “Amici pelosi”, a dire il vero, è il termine che la voce fuori campo ha utilizzato.
È l’estate del 2014 e il caldo mi sta facendo soffocare più del solito.
Le prime scene mi riportano indietro negli anni, a quella stagione della vita in cui fumare erba o schiantarsi in macchina in preda ai postumi di una sbronza sono ancora cose per cui ci si può perdonare. Persino andare a letto con il proprio allenatore suona come un’idea geniale, o magari quello no, ma è l’età in cui i bilanci si rimandano sempre al giorno dopo.
Quando compare James Franco e comincia a provarci con Emma Roberts, penso che forse in quella situazione ci potrei davvero stare anch’io. Forse in effetti ci sono stata anch’io, ma lui non era James Franco, e le mie mutande non avevano niente di innocente disegnato sopra. Niente su cui abbia potuto basare la mia difesa, perlomeno.
Lascio che le immagini comincino ad accavallarsi sullo schermo, mentre percorro a ritroso la sequenza dei miei errori.
Le amiche che avevo a quel tempo avevano insistito affinché andassi con loro a una festa, anche se odiavo il caos di quelle serate e non ho più smesso di farlo.
Approfittando dell’ennesima brutta canzone, ho accettato il passaggio che lui mi aveva offerto, ma a quel punto era già tardi. La mia catena di eventi, infatti, inizia prima di quel momento, e mi tocca prendere il telecomando per riavvolgere ancora.
Ricordo che in qualche occasione avevo risposto al suo saluto in maniera eccessivamente cordiale. Col senno di poi, quando mi sono presentata per la prima volta, credo di avere indugiato troppo a lungo sulla pronuncia del mio nome. Ho trascinato l’ultima sillaba e aperto le vocali, ed è lì che deve aver capito che ero abbastanza timida da non opporre resistenza.
Nel film, adesso, sento Jack Kilmer, il figlio del Val di Top Gun, parlare della possibilità di uccidere qualcuno in un incidente e di scappare fregandosene. Non riesco a concentrarmi, e penso al cadavere della me quindicenne, ancora abbandonato da qualche parte nella piazzola dove ci eravamo fermati.
Ho intuito che Jack, non riuscendo a confessare di essersi innamorato, ha inciso un cuore su un tronco, ma è tornato di notte con una sega elettrica a distruggere l’albero.
Dopo la sera della festa anch’io ho evitato le confessioni e cercato cuori da distruggere, ma l’albero abbattuto finiva per essere sempre il mio. Su un ramo c’erano i saluti troppi cordiali, quelli dove sorridevo e muovevo le mie foglie; su un altro c’era inciso il mio nome, che mi sono poi allenata a scandire in modo meno malizioso. Negli ultimi anni, ho persino imparato a pronunciarlo con un certo astio, facendolo assomigliare al suono di una corteccia che, calpestata, si rompe.
Le scene proseguono in sottofondo, e ora vedo una bionda guardarsi allo specchio dopo l’ennesima sveltina. Mi sembra di riconoscere quel riflesso e forse Gia Coppola mi sta proprio dicendo che per farti vedere devi essere tu a togliere lo strato in superficie, ma non è detto che chi è intorno se ne accorga. Devi essere disposto a scorticarti prima davanti alla gente, anche se questo significa arrivare alla fine delle serate e scoprire di essere rimasta da sola.
Una ragazza è un albero, il sesso è amore, e chi migra da un letto all’altro sta solo cercando la sua dose.
Io non sono Bob, dice qualcuno dallo schermo, e nemmeno io voglio essere quella che va incontro alla morte senza possibilità di redenzione. Mentre il mio nastro personale continua a ripresentarsi nella sua successione, cerco il punto esatto in cui mettere in pausa.
Vorrei che non mi importasse di niente. Ma mi importa, invece. Mi importa troppo di tutto, confessa Emma alla fine, e se fossi Gia avrei interrotto la scena su questa frase. Anzi, taglierei il rettangolo di quel fotogramma e lo metterei all’inizio della mia pellicola, esattamente dopo le pubblicità che ti spiegano come proteggere chi ami.
Quando la temperatura dell’aria arriva a trenta gradi, significa che l’asfalto brucia a cinquantacinque, e a quel punto l’epidermide si ustionerà in sessanta secondi!
Quanto sono precarie le zampe di un cane, quanto poco ci vuole per arrivare al cuore delle cose preziose.
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