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In fuga dalla bocciofila

Blog dal titolo fuorviante in cui si parla di cinema tra una divagazione e l'altra

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Ogami, il pericolo giallo | Il samurai con il passeggino

16 Luglio 2020 di Redazione

di Claudio Lagomarsini

 

Arrivare a Ogami, il pericolo giallo significa aver raschiato e poi leccato il fondo di un barile fatto di insicurezza post-adolescenziale, forum di arti marziali e stima sovradimensionata per la kitschissima enciclopedia cinematografica di Quentin Tarantino.

Come si scivola in questo baratro? Nel mio caso, tutto inizia nei primi anni ’90, quando insieme al mio compagno di banco vengo iscritto a un corso di Karate. Davide e io siamo bambini troppo gentili ed educati, e quando le nostre madri vedono Karate Kid su Canale5, decidono di fare di noi dei veri uomini.

La sensei è una ragazza dal caschetto biondo di cui sarò innamorato fino alla quinta elementare. Pungolato dal suo sprone (quando siamo in procinto di arrenderci ci chiama, affettuosamente ma non troppo, «mongolini»), sviluppo un insidioso ushiro ura mawashi geri, e lei mi vezzeggia chiamandomi “Claude”.

Ecco, le nostre madri ci vorrebbero letali come Jean-Claude Van Damme, dolci come Ralph Macchio e belli come Kim Rossi Stuart ne Il ragazzo dal kimono d’oro. Ma io e Davide siamo solo dolci il giusto, belli il giusto, per niente letali; a un certo punto lasciamo perdere e ci diamo ad altri sport.

Stacco, 2004.

Ho vent’anni e sono elettrizzato da Kill Bill: volume 2. Complice la sindrome ossessivo-sistematica sviluppata negli anni del liceo, vado a caccia di tutte le citazioni vere o presunte di quello che considero un capolavoro insuperabile del cinema contemporaneo. È così che finisco impantanato prima nella filmografia completa di Bruce Lee, poi nell’opera omnia prodotta dagli Shaw Brothers, quindi nei poliziotteschi giapponesi con Sonny Chiba.

Scaricare da eMule improbabili B movies del tenore de I distruttori del tempio Shaolin e riprendere con il Karate è un tutt’uno.

Torno nel vecchio dojo: la sensei dal caschetto biondo è stata sostituita da un omiciattolo tutto nervi che porta un decorativo pizzetto brizzolato (forse per guadagnare un non so che di orientale?).

Delle arti marziali a lui interessa soprattutto l’aspetto scenografico: capriole e salti mortali, grida e acrobazie. Il sensei è un vero e proprio regista e, da febbraio in poi, tutte le nostre energie convergono nella preparazione delle “manifestazioni”, spettacoli dimostrativi che si tengono dalla tarda primavera fino all’estate, spesso in concomitanza con una sagra.

Lo scopo è fare proseliti in giro per la provincia e procurare nuove iscrizioni al dojo. Dal febbraio successivo, ai neoiscritti sarà assegnato un ruolo nel nuovo tour di manifestazioni. E così via.

Dev’essere il 2006 quando mi imbatto in Lone Wolf and Cub (Kozure Okami, in giapponese): tratta da un manga e affiancata da una serie tv, questa saga chambara degli anni ’70 mette in scena le peregrinazioni di Itto Ogami, temibile boia dello Shogun che cade in disgrazia per una calunnia. Tutta la sua famiglia è massacrata dagli assassini dello shogunato; alla strage sopravvivono solo Ogami e il figlioletto Daigoro, e inizia così un lungo viaggio on the road alla ricerca di vendetta: percorrendo il Giappone feudale, il ronin solitario spinge Daigoro su un rumoroso passeggino di legno, raccoglie missioni da sicario e sventa gli agguati lanciati dai clan nemici.

In Italia arrivò solo il secondo film della saga, distribuito con il titolo – deliziosamente razzista – Ogami, il pericolo giallo. La trama è esile come ci si aspetta che sia, e in fondo è proprio questo che mi affascina(va): l’inventiva con cui ogni capitolo deve introdurre una variazione sul tema sempre uguale del tagliuzzare i nemici con la katana.

Negli 85 minuti del film, Ogami affronta dieci duelli, nei quali uccide in tutto ventisei persone (in media una ogni tre minuti). E il sangue scorre a litri. Ma che dico litri: ettolitri.

Ci sono donne ninja che si fingono contadine e nascondono pugnali nelle rape. Ci sono soldati acquattati nel deserto che, scovati, vengono arpionati da un artiglio che inzuppa di rosso la sabbia. Ogni duello comporta una nuova trovata, ogni gesto alza di un piolo l’asticella per il combattimento che seguirà.

Insomma, è tutto terrificante. Ma non è anche straordinario?

 

Claudio Lagomarsini insegna Filologia romanza all’Università di Siena. È autore di racconti pubblicati da Nuovi argomenti, Colla, Inutile, Cattedrale e altre riviste. Ha vinto il contest per racconti organizzato nel 2019 dal Premio Calvino. Ha esordito con il romanzo Ai sopravvissuti spareremo ancora (Fazi, 2020). Insieme a Marco Infurna ha tradotto dall’antico-francese La Storia del Santo Graal (Einaudi, 2020).

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Postato in: bellissimi Tag: 1972, arti marziali, bellissimi, Claudio Lagomarsini, guilty pleasure, Kenji Misumi, samurai 3 commenti

Commenti

  1. Maio Rossi says

    14 Settembre 2020 at 11:03

    Dove si può trovare questo film in italiano? Non ho trovato nulla io……

    Rispondi
    • Salvatore Cherchi says

      15 Settembre 2020 at 9:52

      Probabilmente in DVD, su internet, è reperibile da qualche parte

      Rispondi
    • YBL says

      23 Settembre 2020 at 14:38

      Purtroppo in realtà la versione italiana è introvabile sia online che in dvd (se qualcuno dovesse averla cerchi di caricarla su un sito perché merita davvero di essere diffusa). Online non si trova nemmeno coi sub ita. Bisogna solo scaricare la vecchia lista di TNT Village (che si dovrebbe trovare facilmente online anche se il sito è chiuso) e cercare un file dove ci sono tutti e sei i film in giapponese coi sottotitoli. Chiaramente trattandosi di file torrent ci vuole qualche ora di download (tra le 4 e le 12 ore). Io li ho trovati così, se qualcuno sa dove trovare il film in italiano (uscito in Italia anche con il titolo di Shogun il giustiziere oltre che Ogami il pericolo giallo) cerchi di diffonderlo online!

      Rispondi

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