Di Laura Scaramozzino
Mi sta dicendo che chi avrà fede non morirà, Padre?
È questo che mi sta dicendo?
Non lo vede anche lei, non vede che la morte è sempre, che è ora e adesso? In questa vita e sulla sua pelle grigio-giallo-spenta? O riflessa sul quel cranio lucido e perfetto? Guardi nel doppiofondo dei suoi occhi alieni, Padre.
Come può non vederla? Sul serio pensa che non sappia qual è la verità a cui tutto si piega? Io, lei, il bambino e questo buco di mattoni in vista? Contrazione e rilassamento. Sistole e diastole. Concentrazione e dispersione. Entropia, Padre. È quella la faccenda. La sola Legge. Percorriamo all’infinito uno spazio-tempo cupo. Un intervallo tra il pieno e il vuoto. Questo è l’amore Padre. Il sesso, l’affetto. Crede davvero che i suoi parrocchiani vengano qui per Dio?
No, Padre, lo fanno per la sua voce potente. Per come li faccia sentire parte di un organismo perfetto. E per l’impasto delle sue parole nell’approssimare il pane. Quel Corpo di Cristo che non morderanno mai. Anche lui ci ha provato. Ha assaporato l’ostia e ha ricordato la cialda del cono che si attacca al palato. Il mare, lo zucchero e il gelo sulla lingua. Un insieme perduto.
Quando ancora m’illudevo, l’ho portato spesso nella Casa del Signore. Credevo che sarebbe stata per lui un secondo ventre. Un’odorosa penombra, l’utero eterno e misericordioso della Madre di tutte le madri. Ma non è servito, Padre. La Chiesa lo ha espulso, lo ha abortito senza un urlo, una contrazione, o un grumo di sangue annerito.
Il fatto, Padre, è che lei non ha mai visto niente, mentre io osservo spesso la sua pelle rosa-maiale di animale che vive e non sa che si muore. Forse scopa. Scopa una Maria qualsiasi che non è Santa. Che non pregherà per lei, peccatore, nell’ora della sua morte, Amen.
Non creda che non ci abbia fatto un pensiero anch’io. Quando l’ha battezzato, ho desiderato che il pollice della sua mano segnasse anche il mio corpo. Che cancellasse l’intervallo, l’assenza. Il gelo cosmico di ogni destino.
Non si preoccupi, Padre, è normale. Tutto ciò è normale. Non dice niente? Glielo impone la Fede? Quel Dio che fa del Cielo un’immensa grata di atmosfera e silenzio?
No, Padre, non mi perdoni anche se ho peccato. Percepisco il suo respiro. Regolare. Senza un rantolo nei polmoni disseccati. Perché, sì, se io potessi mi macchierei della colpa più grave, pur di salvarlo. Farei uno scambio. La darei in pasto a uno stupratore o alle gomme di un’auto che sbanda.
Lei è giovane. Assomiglia agli attori lunghi e magri a cui scintillano gli occhi. Ha i capelli neri e i denti bianchi.
Lui, però, è più giovane ancora e da adulto, ne sono certa, farebbe grandi cose. Basterebbe potesse immaginarle, Padre. Delle Cose. Ha cinque anni e cammina come gli zombie a cui abbiano succhiato via l’anima. Carne macilenta senza traccia del divino sulle costole in rilievo. E se potessi, Padre, giuro che se potessi, darei la sua vita per quella di mio figlio. Farei un patto con il diavolo più glorioso della fornace Inferno. Eccome, se lo farei.
Se lo ricordi, Padre, ogni volta che attraversa la strada. Nell’oscurità che cala dopo la Mezzanotte, quando ci si risveglia di soprassalto e si trema come i bambini. Tutti.
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