Salire sul carro del vincitore.
Come hanno fatto con Bolaño, riposi in pace, di cui stanno pubblicando anche i biglietti dove spiegava alla figlia dove aveva parcheggiato l’auto. Oppure la ristampa anastatica di un’agenda del 1998 che teneva vicino al telefono, piena di omini scarabocchiati, di numeri di telefono, di sigle incomprensibili.
Massì, pubblichiamo tutto.
Altra cosa sarebbe stata fare uscire questo film sei mesi fa.
Così dal nulla, un film coreano del 2003.
Sbam.
Invece ora, beh, facile.
Sai come lo chiamo io?
Carrodelvincitorismo.
C’è da dire, e lo dico, che in queste cose è come per la nazionale di calcio, cioè una vittoria finale (salvo rare eccezioni, botte di culo clamorose vedi alla voce “Italia 2006”) in queste cose è sempre tutto quanto frutto di una costruzione a monte, di un lavorìo, di un investimento ventennale sui vivai o come dicono in Spagna carteras, così poi da generare quel minuscolo o maiuscolo topolino.
E lo stesso vale per il cinema coreano.
Queste riflessioni scrivo in un’affollata biblioteca.
Lo senti anche tu questo odore così intenso? Chiedo al barbone che dorme accanto a me e non parla la mia lingua.
Annuisce.
Annuisce sempre.
Sono in questa biblioteca e guardo i film per il Korea Film Festival.
Sarebbe lungo da spiegare perché a casa non abbiamo internet.
Sono uno dei giurati.
Anche qui: lungo da spiegare.
Guardo i film e mi appunto delle cose su un taccuino, per darmi un tono vagamente professionale.
Sono per lo più tette.
Ma la verità è che io sono ormai come il Malte di Rainer Maria Rilke, sono diventato uno dei barboni che mi siedono accanto.
L’arabo, figura chiave del mio romanzo d’esordio, si è accorto che guardavo un film e mi ha detto: Alla fine ti sei stancato di studiare.
E ha riso.
Mi chiedo quando è successo che siamo diventati così intimi.
Comunque la cosa è buffa davvero, lui credeva che studiassi e invece scrivevo di lui, che tenerezza.
Penso che in fondo non devo dimostrare nulla ai barboni che mi siedono accanto. E neanche agli studenti. Non devo nessuna spiegazione al mio vecchio compagno di università che fa un post dottorato e studia davanti a me.
Sì, sto guardando un film come gli altri ragazzi barboni. E allora?
Se solo qualcuno me lo chiedesse, ma nessuno chiede mai nulla, gli risponderei: sono film coreani. Li sto visionando in anteprima, testa di cazzo. Usciranno tra due mesi, e allora forse li vedrai pure tu. O forse, ed è ancora più probabile, li vedrai tra una ventina d’anni, quando un altro fratello coreano vincerà il suo piccolo fottuto Oscar e te ti alzerai dal tuo fottuto divano e andrai al cinema.
Sono un fottuto genio, dico al barbone che mi siede accanto, che annuisce semi addormentato.
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