di Herman Sapo Descontento (essi vivono)
Quando arrivò alla chiesa di San Giovanni Battista era ancora sporca di sabbia e sale. Aveva lavato via il sangue dalle cosce con l’acqua di mare, ma sul sellino della bicicletta erano rimaste delle macchie marsala, che aveva asciugato con il bordo del vestito. Sfilò sotto il protiro strisciando lungo le pareti nella chiesa deserta. Avanzò finché ebbe coraggio, poi si sistemò in preghiera a ridosso del finestrone laterale e nascose il viso tra le mani. Una brezza leggera attraversava la navata e le soffiava sui polpacci, umidi della stessa acqua che le aveva lambito i piedi durante l’orgasmo che improvvisamente l’aveva resa consapevole di tutto il suo corpo, risvegliandola. Il ricordo fece accelerare le pulsazioni e Beatrice strinse le dita intrecciate fino a farle sbiancare. La purezza dell’acqua battesimale sotto di lei, nella Grotta della Sibilla, aumentò il senso di vergogna che il suo corpo provava a farle dimenticare.
L’età era solo un numero altrove, ma nel paese dello sbarco dei Mille, come su tutta l’isola, l’età pesava quanto i granelli di sabbia nella mano della Sibilla Cumana. Troppi gli anni donati alla vergine dal Dio Apollo, troppo pochi quelli di Beatrice per poter decidere del proprio corpo. Almeno così avrebbero sentenziato le malelingue.
Il peccato sarebbe presto stato scoperto. Come sua madre amava ripetere “nelle cose di sesso i maschi hanno la lingua lunga più di tutto il resto”. Mentre con gli occhi chiusi tentava con tutte le sue forze di concentrarsi sulla preghiera, nella sua testa si accavallavano cori di condanna, premonizione di ciò che avrebbe dovuto subire non appena la voce si fosse sparsa tra le strade. Voce che soffocava l’innocenza, la rivendicazione del piacere che dal ventre si diramava in tutto il corpo, tranne che dal collo in su. Così, la folla nella sua testa, la stessa che abitava i ruderi rustici bruciati dal sole, la stessa che poche ore prima aveva gioito in piazza per la festa del santo protettore dell’emicrania, quella folla si trasformò in Salomè. E nella chiesa dedicata a uno dei più famosi decollati della storia cristiana Beatrice divenne lo stesso San Giovanni Battista. L’accusatrice però non desiderava dalla giovane martire il sacrificio della testa. Questa volta avrebbe dovuto rinunciare a tutto il corpo, oggetto del peccato, dalle spalle alla punta dei piedi. Una decapitazione alla rovescia.
Beatrice aprì gli occhi e vide discendere in un cono di luce due angeli, l’angelo della vergogna, che aveva il volto piangente di sua madre, e l’angelo del disgusto, nel quale riconobbe lo sguardo del padre. Portavano una lama larga e piatta, seghettata sul bordo, entrambi stringevano una delle due impugnature. Senza bisogno di ricevere istruzioni, Beatrice si distese supina al centro del pavimento spoglio della chiesa, tra la sabbia e la polvere. Restò così, immobile, mentre gli angeli si preparavano a segare via il corpo dalla testa con gesti lenti.
Le sue ultime parole: «Perdonatemi, non l’ho fatto apposta.»
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