Molti anni mi separano dai singolari eventi che dopo un lungo oblio ho deciso di raccontare. Talmente tanti ne sono passati che quando al mattino mi guardo allo specchio fatico a credere che io sia lo stesso di allora. Avevo vent’anni quando fui assunto come commesso apprendista in una delle molte librerie che ancora a quel tempo si trovavano in città. Ma quella in cui trovai impiego, tramite la raccomandazione di uno zio acquisito, non era una libreria qualsiasi. Era la libreria. Situata in un antico palazzo del centro storico, si sviluppava su tre piani e conteneva un numero sbalorditivo di volumi, al punto che il suo prestigio non aveva uguali in città e poteva competere con qualsiasi libreria al mondo.
Solo noi, tra commessi apprendisti, eravamo una ventina. Io fui affiancato ad un anziano e scorbutico commesso del reparto scienze umane che sarebbe andato in pensione di lì a qualche anno e che mal sopportava di vedermi intorno a sé. Per questo cominciai a passare la maggior parte del tempo vagabondando per i piani della libreria, perdendomi tra gli scaffali e spiando di nascosto il metodo di lavoro del primo commesso della libreria che tra noi sottoposti chiamavamo “Il Prediletto”. Questi aveva circa quarant’anni, capelli corti e fitti, occhi mobili di uccello, e sedeva dietro al grande banco all’ingresso, pronto ad accogliere i clienti e a indirizzarli verso i diversi settori. Anche i proprietari, due fratelli gemelli, come tutti noi sottoposti, avevamo nei confronti del Prediletto sentimenti ambivalenti. Da un lato, vista la loro età e poiché non avevano figli, delegavano al Prediletto molte delle incombenze della libreria. Dall’altro, si notava come i Gemelli lo temessero e non si fidassero di lui fino in fondo. Non che il Prediletto volesse andarsene via rubando chissà quale segreto o aprire una sua libreria. Era piuttosto l’atteggiamento di estrema sicurezza che emanava a fare di lui una figura opaca agli occhi dei titolari, come di tutti noi sottoposti. I clienti invece lo adoravano. Venivano appositamente dalle città vicine. Riusciva a vendere qualsiasi libro a chiunque volesse. Sapeva a memoria la collocazione di ciascuno dei centomila libri della libreria, e per ognuno di essi sapeva trovare un acquirente. Nessuno poteva resistergli. Nessuno tranne il Signor Carlo.
Il Signor Carlo era già all’epoca molto anziano e portava sempre cappello e bastone. Si diceva fosse ricchissimo e, in passato, un cliente abituale dei Gemelli. Forse, di tutti i vecchi clienti, era l’unico che non si fosse mai lasciato sedurre dal Prediletto e manteneva nei suoi confronti un atteggiamento sprezzante di noia e malcelata superiorità.
Un giorno che mettevo ordine nel pozzo librario assistetti a uno stranissimo dialogo tra loro, che ricordo ancora oggi come se fosse avvenuto un attimo fa. Il Signor Carlo stava cercando un libro fuori catalogo, al che il Prediletto gli propose in alternativa un altro libro, uscito di recente, che affrontava lo stesso argomento e forse superava l’altro per profondità e erudizione. Dentro di me, dal mio nascondiglio, non potei che provare ammirazione per l’arditezza e la precisione di quel suggerimento, ma il Signor Carlo, dopo aver preso in mano il libro e aver scrutato a lungo la copertina e il risvolto lo gettò sul banco con fare disgustato.
«Cosa le passa in mente, giovanotto? Pensa di potermi vendere un libro? Lei?»
Dal mio pertugio vidi per la prima – e unica – volta il Prediletto sussultare. Fu un momento breve e orribile. Subito si riscosse. In quel momento la libreria era stranamente vuota e silenziosa. Il Prediletto allora guardò il Signor Carlo e disse qualcosa che anche a distanza di così tanto tempo fatico ancora a comprendere del tutto.
«Signor Carlo, mi permetterà di farle una domanda, visto che già da molti anni ci conosciamo».
«Lei vuol fare una domanda a me? E cosa mai vorrebbe chiedere?»
«Le vorrei proporre un patto».
«Non credo lei sia nella condizione di proporrei nessun patto».
«Vede, Signor Carlo, lei crede che io sia solo un commesso e in un certo senso è proprio così. Ma sono anche il Diavolo. Ora potrà non crederci, ne ha tutta la facoltà, ma questo non cambia nulla. Le devo comunicare due cose. La prima è che non le resta molto da vivere. La seconda è una proposta: rinunciare a tutto quello che ha, alla sua immensa ricchezza, in cambio di dieci anni di vita».
«Lei è completamente pazzo».
«Allora cinque anni di vita».
«La segnalerò ai suoi titolari, questo comportamento è inaccettabile».
«Bene, allora l’ultima offerta è un anno di vita. Non deve rispondere adesso, basterà che stanotte o quando vuole lei, ma non faccia passare troppo tempo, quando sarà a letto dica: accetto. E io saprò. Lei perderà la sua fortuna, ma vivrà. Non molto a lungo, è vero, ma ancora per un po’».
Il Signor Carlo fu colto da un tremito inarrestabile, come se provenisse dalle sue stesse ossa, e si avviò verso l’uscita. Il Prediletto invece sorrideva immobile, osservando il pover’uomo che si allontanava con passo malfermo. Poi si girò verso di me, che facevo capolino da una stretta fessura del pozzo e mi rivolse un lungo sguardo, di fronte al quale io raggelai e rimasi paralizzato, incerto se, dalla sua posizione, potesse vedermi o no.
Poi si disinteressò a me, come se in fondo non facesse alcuna differenza se io ci fossi o meno.
Di quello che accadde dopo ho ricordi molto confusi. Tornai a casa con la febbre alta e dovetti rimanere a letto per alcuni giorni. Mia madre si prese cura di me e si recò personalmente dai Gemelli a portare la certificazione di malattia.
Al mio ritorno in libreria era cambiato tutto: il Prediletto non era più seduto al suo posto all’ingresso, ma trovai dietro il bancone il mio vecchio superiore della sezione scienze umane, con un’espressione che lasciava intendere che non fosse per nulla contento del suo trasferimento. Nessuno dei colleghi ausiliari seppe darmi spiegazioni in merito all’assenza del primo commesso e dopo una certa insistenza da parte mia, capii che non ne avrei ricavato nulla. Anche il Signor Carlo non tornò più a varcare la porta del negozio, e dopo un po’ di tempo, provai a dimenticare tutta la faccenda.
Fu solo mesi dopo, ma di questo davvero non ho alcuna sicurezza, che mi sembrò di scorgere ai lati di una strada un mendicante, seduto a terra, con un sorriso sghembo e al suo lato un logoro cappello e un bastone.
Io allora proseguì diritto per la mia strada, senza fermarmi.
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