di Claudia D’Angelo
Ivan c’aveva le fisse per le ragnatele, le slabbrava tutte ficcandoci gli artigli. Ogni volta che giocavamo a nascondino e condividevamo lo stesso rifugio sembrava provare un piacere unico nell’infilarsi negli angoli più sporchi e umidi.
Con la stessa tecnica scavava nel suo naso e lasciava le caccole sulle mura contro cui mi spingeva. Era disgustoso ma era il più gentile di tutti, non mi trattava mai da “femmina”, non mi escludeva mai, nemmeno quando gli scappava la pipì. Tutti gli altri erano invece un po’ più stronzi perché già disegnavano gerarchie, già facevano battute sulle mie nudità pelose che lasciavo scoperte dai pantaloncini del mare.
Un giorno venne il cugino di Ivan a trovare Ivan. Cioè mio cugino di terzo grado. A casa pure me l’avevano detto che veniva Ugo da Milano con gli zii di Ivan, che forse dovevo mettermi qualcosa di più decente per la cena.
Ivan mi accennò di Ugo dicendo: «è un genio»
Quando poi l’ho conosciuto proprio non mi capacitavo su dove potesse risiedere questo suo “genio”, sotto quale strato di mento, o se appeso alle sopracciglia, motivo per cui le teneva sempre alzate quando il suo sguardo toccava la mia tovaglia, la mia televisione, i miei genitori, me.
Stette a casa di Ivan per due settimane, per prendere un po’ di sole, perché era bianco bianco come le candele che mamma accendeva per i morti, e si faceva ancora più bianco quando la mamma lo cospargeva di protezione solare 50+ pure se doveva stare all’ombra perché il sole da noi diceva che era cattivo.
Il genio aveva dolori alle ossa proprio come i vecchi, faceva scricchiolare tutte le articolazioni, una a una, sfoggiava polsi e dita sonanti, se le spezzava all’incirca ogni dieci minuti come se si preparasse a fare a pugni.
Ivan aveva smesso di nascondersi con me negli angoli più lerci, e aveva preso a nascondersi da me quando gli scappava.
«Ugo dice che non si fa davanti alle bambine, non è decoroso»
Ivan stava sempre con lui, notte e giorno. Ugo non mi includeva mai nei loro giochi, mi trattava come un animaletto feroce, una cagnetta bastarda con cui non perdere tempo perché obbediva a un solo padrone, e quel padrone, lo sapeva, era Ivan. Mi doveva allontanare.
I miei non sapevano della sua genialità, ma l’accento li convinceva di qualche superiorità sociale, e lo trattavano con deferenza. Ugo vuoi una mozzarella qui, Ugo vuoi un panzarotto là, Ugo ti abbiamo preso le paste. E Ugo si ingozzava con le sopracciglia alzate.
Una sera mi fu rivelata la sua genialità.
A cena da Ivan i genitori di Ugo millantarono le grandi capacità del figlio: è stato vincitore del programma di Mike Bongiorno. Genius.
Gééé-ni-ùùùs?
Ripetevano i miei.
La mamma aveva registrato la puntata e la portava sempre con sé. Ugo di questo sembrò imbarazzarsi un po’: le sopracciglia si abbassarono, così la testa, e apparvero i suoi menti.
Misero su la cassetta, tutti volevano sentire e vedere quel crocchè dare le risposte giuste. Sorridevano quando il genio esultava stringendo il pugno davanti a sé e sibilava: evvai…
Sorridevano anche i miei.
Su che canale lo trasmettono? Nostra figlia mica si guarda questi programmi acculturati, ah-ah-ah.
Ugo a quel punto disse: «Marianna è ancora un po’ troppo infantile, basterebbe che si impegnasse in qualcosa, sono sicuro che se seguisse una passione riuscirebbe. È intelligente a modo suo».
I miei sorridevano ancora, ma dal tono sembravano risentiti: «Che discorso da adulto! Ah-ah».
«A conti fatti è un ragazzo più grande della sua età… per questo non si trova con i suoi coetanei…»
Non riuscii a trattenermi: «E a te ti puzza il culo»
Marianna! Ugo è un Gé-ni-ùs!
Ma i miei facevano i finti sconvolti, vedevo il labbro di papà fare su e giù isterico per trattenersi dal ridere. Ivan invece rideva. Aveva nascosto il muso dietro il fazzoletto e rideva. Lo vidi anche ficcarsi di sfuggita gli artigli nel naso e scaccolarsi.
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