Esiste quest’opera, di un artista italiano.
Il titolo è:
“Continuerà a crescere tranne che in quel punto”.
Ecco come è fatta, e come si può rifare.
Prende la macchina, l’artista
o il treno, o il pullman
o anche la bicicletta se non ha la patente
e trova il suo bosco.
(O forse è dietro casa, il bosco
e l’artista e non ha bisogno di niente
se non forse
di un paio di scarpe)
Sceglie un albero, tra tutti
uno giovane, sottile.
Gli stringe il tronco con la mano
e poi rincasa, l’artista
e fa un calco della stessa mano:
della mano nell’atto
di stringere il tronco.
Produce così una nuova mano
fatta di bronzo
che è come la sua ma più pesante
instancabile
e riprende la macchina
o il treno, o il pullman
o anche la bicicletta se nel frattempo
ha bocciato l’esame di teoria.
Torna nel bosco, e sul tronco segnato
incastra la scultura
e la lascia lì
a stringere per sempre.
Lui forse la dimenticherà,
l’albero
no.
Ha anche vinto, l’artista
un premio in Giappone;
gliel’ha consegnato il principe
che è un omino normale, con il vestito grigio
e la cravatta.
Se quel giorno i fotografi, sull’onda dell’entusiasmo
avessero chiesto una posa
con stretta di mano
si sarebbe avvertito, io credo
un colpetto di tosse
un leggero imbarazzo.
Capita a volte
che qualcuno domandi
se mi sono mai rotta una gamba, o un braccio
così, per sapere
per fare un po’
di conversazione.
Ci devo pensare, e alla fine dico no
che le mie ossa sono sane
risultando tuttavia
non molto convincente.
La verità è
che non è successo niente
perché non pratico sport e conduco vita sedentaria
ma rimane il dubbio.
Come se in effetti, in certi punti
più che una frattura ci sia una contrizione
un avvenimento depositato nell’arto
che l’ha fatto seccare.
Forse non c’entra molto, ma alle elementari mia madre
mi portava a casa da scuola:
c’era la ferrovia
proprio davanti al cancello
e un passaggio a livello
che adesso hanno chiuso.
Se la sbarra si abbassava aspettavamo in silenzio
il sottopassaggio c’era, ma non ci andavamo mai
perché puzzava di piscio
e detergente rancido.
Nel rumore lei
metteva una mano sul mio collo
e la teneva lì come un guinzaglio
finché il treno passava;
io rimanevo ferma
e mi beavo di quella stretta
poi c’era di nuovo calma
e si poteva andare.
Ogni tanto qualcuno
si interrogava sul gesto;
lei rispondeva:
“lo fanno anche gli animali”.
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