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La pantera delle nevi | Aspettative

27 Febbraio 2023 di Redazione

 

 

di Federica Fanelli

 

Oggi sono tre mesi, tre mesi che se n’è andato, tre mesi che aspetto.
Non capisco davvero come sia stato possibile, qui aveva tutto. Perché mai se ne sarebbe dovuto andare.
Ma che dico infatti, dev’esser successo qualcosa, qualcosa di strano… non era mai successo prima. Forse un paio di volte sì, ma tanti anni fa, quando ancora non capiva. Lui era felice di stare qui, non se ne sarebbe mai andato volontariamente, di questo sono sicuro. Deve aver sentito qualcosa che non andava, non l’ha fatto apposta, dev’esser così, per forza.

Oggi sono tre mesi che se n’è andato, ma io sono certo che tornerà. È vero che l’attesa comincia a stancarmi… e il senso di colpa è dilaniante. Dico io, ma come ho fatto a non accorgermene! Avrei potuto far qualcosa, farlo ragionare, intercettarlo. Dire: ma che fai, ma dove vai, torna dentro che tra poco è ora di cena. E invece ero distratto, stavo rimettendo quella mensola in cucina, chissà perché proprio quella sera poi… erano mesi che pendeva. E invece no, stupido stupido stupido! Proprio quella sera ho voluto aggiustarla. Si sarà sentito trascurato, avrà pensato che la cena non fosse abbastanza importante per me. E aveva ragione! Quel giorno, è vero, gli ho dato poche attenzioni. Abbiamo fatto una passeggiata insieme sì, ma troppo breve… ero di fretta e distratto, avrò passato almeno dieci minuti al telefono. Ma che potevo fare, era il capufficio, non potevo non rispondere. «Mi dispiace disturbarla mentre è a farsi i fatti suoi, ma ci sarebbe…» e invece non gli dispiaceva per niente. Avrei dovuto non rispondere. Il tempo libero è pur sempre libero, bisognerebbe usarlo per dare attenzioni a chi si ama, ho sbagliato.

Oggi sono tre mesi che se n’è andato, che ho corso corso corso e mi sembrava che mi scoppiasse il cuore. Appena me ne sono accorto, non potevo crederci. Ho fatto il giro della casa: niente. Ho guardato dappertutto, magari poteva essere in bagno o nello sgabuzzino… nessuna traccia. Mi son detto: avrà perso la pazienza, d’altronde aveva le sue buone ragioni, sarà andato a farsi un giro. Dopo un’ora sono entrato nel panico, fuori era buio pesto, poteva succedergli qualcosa. Sono uscito ed ho iniziato a correre, non ho mai corso tanto in vita mia. Correvo e chiamavo il suo nome, ho finito il fiato e la voce… «signore, si sente bene? ha bisogno di una mano? Ha perso qualcuno? No, non mi sembra, non credo sia passato di qui». Tutto inutile, aveva proprio voluto sparire. La mattina dopo, a mente lucida, ho capito che dovevo agire con razionalità. Sono andato a fare la denuncia «Come si chiama? Quanti anni ha? Segni particolari? Ci sono già stati episodi di questo tipo? Stia tranquillo, vedrà che torna a casa, la maggior parte delle volte ci si allarma inutilmente». Ho chiamato il capufficio, gli ho spiegato la situazione e gli ho detto che non potevo andare a lavoro «ma perchè si preoccupa così? Sono certo che andrà tutto bene, sono cose che succedono! A volte si ribellano, valli a capire, la voglia di evasione… ci vediamo domani». Ho fatto il giro di tutti i bar, i negozi, i supermercati, l’ho descritto minuziosamente a tutti e abbiamo affisso i cartelli. I cartelli sono dappertutto, c’è anche la sua foto. Dopo sono tornato a casa e mi sono seduto sullo scalino.

Oggi sono tre mesi che se n’è andato, sono tre mesi che sto seduto sullo scalino del mio portone. Aspetto. D’altronde la chiama così anche il capufficio: aspettativa. È quello che ti permette di non andare a lavoro se per qualche motivo non puoi andarci, non lo sapevo, l’ho scoperto tre mesi fa: «forse è il caso che si metta in aspettativa» ha detto. È evidente che io non possa andare a lavoro, devo restare qui. Quando tornerà voglio che mi trovi subito, sullo scalino, in aspettativa. I vicini sono gentili, mi portano del cibo e si fermano a parlare con me: «come sta oggi? ha mangiato? non le fa bene star qui fuori tutto il tempo, si prenderà il raffreddore». I bambini mi hanno preso in simpatia e vengono a giocare qui, devo essere una strana attrattiva per loro… ridono, mi guardano, si siedono sullo scalino. Ovviamente tutti sono al corrente della situazione e, se lo dovessero vedere, mi avvertirebbero subito. Ma i giorni passano, «anche oggi nessun avvistamento, ci dispiace…» e quella domanda, che mi trafigge sempre come una coltellata: «Signore, non ha ancora ritrovato il suo cane?»

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Postato in: La scena tagliata, La sindrome del personaggio secondario Tag: Felide, Pantera delle nevi, Paolo Cognetti, Sylvain Tesson, Tibet Fai un commento

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