di Rachele Salvini
Al cinema mio nonno rideva così forte che una volta ruppe il sedile. Lo schienale si spaccò sulle ginocchia di una ragazza nella fila dietro: mia nonna. Una storia uscita da una commedia romantica di Hollywood.
Nei musical dell’età dell’oro, i protagonisti fermavano gli orologi e cominciavano a ballare e cantare in un universo parallelo. La danza era attrazione, rapimento emotivo. I numeri, brevi viaggi in galassie di sogni.
Io e Valerio andammo a vedere La La Land in un cinema di Londra prima che partissi per gli Stati Uniti. Avevo già prenotato il volo: la data della nostra fine era stampata sul biglietto. Valerio venne a Londra per l’ultima volta.
Da giovani i miei nonni correvano in Vespa sul lungomare livornese, coi capelli seccati dal sale del libeccio. Nonno lavorava e studiava per diventare chirurgo; nonna voleva mettere su famiglia. Ai tempi non c’era niente di più importante.
Nella famosa scena della panchina al Central Park in Voglio Danzare Con Te, Fred Astaire e Ginger Rogers dichiarano di non avere niente in comune e di non poter mai innamorarsi l’uno dell’altro, ma quando cominciano a pattinare, la danza mostra una chimica innegabile. Lo spettatore pretende il lieto fine.
Quando mi sono trasferita negli Stati Uniti, Valerio mi ha detto che la sua vita aveva perso i colori.
Insieme ballavamo come John Travolta e Olivia Newton-John in Grease nella scena del ballo della scuola, facendoci largo nella folla ballando come se nessuno ci stesse guardando. Danny e Sandy avevano tutti gli occhi addosso.
Quando studiavo e lavoravo a Londra completamente sola, Valerio era a Livorno a far festa con gli amici. Non avevamo più niente in comune. La distanza ci aveva devastato.
Non erano questi i colori da ricordare. Volevo le nostre danze, sincronizzate alla perfezione.
Mio nonno adorava il suo lavoro all’ospedale, la città e i livornesi. Mia nonna voleva solo che la famiglia restasse unita. Quanto dev’essere stato deludente rendersi conto che anche la famiglia è difficile da tenersi stretta.
La La Land è pieno di riferimenti ai grandi musical dell’età dell’oro: Ryan Gosling canta aggrappato a un palo come Gene Kelly in Cantando Sotto La Pioggia; i protagonisti ballano la tap dance su una panchina di Griffith Park a Los Angeles come Fred Astaire e Ginger Rogers al Central Park in Voglio Danzare Con Te. I protagonisti di La La Land non si piacciono, ma l’antipatia muta in un’attrazione irrefrenabile. Continuiamo ad aspettare il lieto fine.
Quando torno a Livorno dagli Stati Uniti e vedo Valerio per mano a una bionda, penso al finale di La La Land: i due decidono di lasciarsi per seguire i propri sogni. Lei fa carriera e si sposa, lui diviene un musicista di successo. Quando s’incontrano, anni dopo, si guardano da lontano e sorridono. Gli spettatori sono catapultati in una fantasia finale in cui la coppia immagina come sarebbe stata la loro vita insieme. Ballano tra i corridoi di un passato irrecuperabile e di un futuro irrealizzabile. Le danze sono i colori rimasti. Il sogno di una vita insieme è un ultimo numero spettacolare.
Mia madre stava giocando sul tappeto del salotto quando vide una lettera apparire sotto lo stipite della porta. La portò da mia nonna, che la lesse con le dita che tremavano. Mia madre era una bambina, ma aveva capito subito. Come con tutte le donne che chiamavano al telefono, sapeva che qualcosa non andava.
Mia nonna cacciò nonno di casa, poi lo riprese: la famiglia doveva rimanere unita. Ma quando lui andò finalmente in pensione, si ammalò subito. Mia nonna si ritrovò a prendersi cura di un uomo che l’aveva tradita e umiliata.
Questa non è una storia da commedia di Hollywood. Anche in La La Land c’è una sfumatura di lieto fine: un sorriso da lontano, il tentativo di vedere la vita come una narrazione che abbia senso. Valerio che stringe la mano a una bionda, io con la mia carriera in America. È stato meglio così.
Quando io e Valerio uscimmo dal cinema, presi un volantino di La La Land.
«Un film che vi farà sentire alla grande?» Valerio lesse, ancora scosso.
La pioggia di Londra mi bagnava le dita mentre aprivo l’ombrello. La città era immersa in una nebbia fitta; i taxi e gli autobus rossi ci correvano intorno.
«Vi farà male la faccia da quanto sorriderete», lessi il commento di The Sun.
«È difficile immaginare un film che vi renda più felici» continuò Valerio.
Ficcai il volantino in borsa. Stavo troppo male per quel finale per rendermi conto che avremmo potuto danzare come Gene Kelly sotto la pioggia.
Mio nonno è morto, ma mia nonna ha tenuto la famiglia unita: tutti tranne me.
Nel mio appartamento in una cittadina dell’Oklahoma ho ancora il volantino di La La Land preso in quel cinema di Londra. È tutto sgualcito, attaccato sopra il mio letto, con Ryan Gosling e Emma Stone in piedi tra la panchina e il palo della luce di Griffith Park. Il cielo blu è coperto dalle stelle dei voti della critica. E poi la recensione del Guardian: “un capolavoro immerso di sole”.
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