Dopo la morte del liberal-conservatore Re Leonzio I, orso forte, figlio della montagna, il giovane principe Tonio, suo erede, si trovò da solo a decidere delle sorti del regno. Gli orsi dovevano tornare fra i boschi, spogliarsi di cappelli, sciarpe e panciotti, abbandonare cannoli e arancini, le buone maniere e la poesia? Oppure dovevano restare e mescolarsi agli uomini, fino a diventare raffinati e deboli?
– Sulle montagne, d’inverno, quando nevica, se uno respira gli si congela la saliva in bocca – diceva il giovane e nuovo Re.
– Per questo andavamo in letargo per sei mesi l’anno, Maestà. Era la più sacra fra le nostre tradizioni – rispondeva uno dei barbuti consiglieri del padre.
– Ma così a quarant’anni ne avremo vissuti solo venti – ponderava il Re, sorseggiando un tè caldo e pensando a quante cose erano cambiate da quando era un cucciolo che pescava salmoni nel fiume.
– Ma, sire, l’ha promesso a suo padre: deve riportare il branco nella foresta!
Queste, fra tutte le ragioni che gli proponevano, sembrava la più stupida. Certo, al padre morente, disteso sul letto e con gli occhi già chiusi, non aveva esitato a promettere tutto: tornare ai fiumi, mangiare salmone crudo, rinnegare le comodità, ecc. ecc. Ma suo padre non era più lì e il giovane Tonio si chiedeva se fosse giusto continuare a farlo regnare anche ora che era diventato un fantasmino bianco e allegro, in giro sulle nuvole.
Così, dopo tre giorni e tre notti passate a riflettere, decise che il padre e tutti i conservatori bacchettoni potevano andarsene a fanculo. Chiamò i suoi consiglieri e fece convocare il proprio popolo, uomini con i loro cani e orsi con i loro procioni da compagnia. Quella notte non chiuse occhio e scrisse il più bel discorso che un orso avesse mai scritto e che, se lo dovessimo riassumere nel giro di due frasi, diceva: gli orsi e gli uomini vivono bene insieme. Perché dovrebbero smettere?
Il popolo esultò e ci furono feste spontanee in tutto l’Aspromonte, sulle Madonie e fino a Sciacca. Ma le leggi della Sicilia erano pensate solo per gli uomini e Tonio sapeva che, perché durasse, il regno aveva bisogno di leggi nuove: per orsi e per umani. Re Tonio allora prese una grande pergamena, la più bella e ampia che la corte conservava, e in uno stampatello stentato scrisse l’unica legge che gli sembrava utile: “Chi divide e separa, fa male; chi unisce e mescola, fa bene.” Ogni altra legge fu abolita: quelle sulla proprietà privata e quelle sull’evasione fiscale, quelle sulla pianificazione urbanistica di primo e secondo livello e quelle sui dazi per il sale.
Se all’inizio la polizia ebbe qualche difficoltà, con l’andare del tempo, tutti capirono la saggezza di Re Tonio: le orge si moltiplicavano nelle case più rispettabili, omosessualità, bisessualità, i matrimoni misti, uomo-orsa e donna-orso, all’inizio così scandalosi, divennero la norma. La pizza all’ananas e i cannoli salati non stupivano più, né sembrava strano vedere per le strade di Palermo umani vestiti da orsi, nudi e pelosi. Nacque una nuova generazione di bimborsi che avevano gli occhioni più dolci mai visti. Per loro orsi e uomini non erano cose diverse, ma famiglia.
Il regno prosperava in felicità e ricchezza: ognuno era libero e vedeva tutti, orsi e umani, come fratelli. Piano piano, “orso” e “umano” divennero sinonimi e i più giovani facevano fatica a distinguere gli uni dagli altri che, con le parole, era cambiato anche il mondo. Era di cattivo gusto chiedere a qualcuno se fosse uomo o orso e solo i conservatori più accesi insistevano nell’indossare pellicce sopra agli abiti.
Sebbene l’isola non avesse mai goduto di tanta felicità, Re Tonio non era ancora soddisfatto. Malato e stanco, non voleva lasciare la propria opera a mezzo. Vedeva i bagni per maschi e femmine, gli spogliatoi delle piscine per maschi e femmine, il divario dei salari fra maschi e femmine come fumo negli occhi. Decise allora di abolire anche la distinzione fra i sessi, l’unica grande frattura che ancora attraversava la Sicilia.
– Che ognuno sia sé stesso e niente più! – biascicò Re Tonio, infagottato in un mantello che lo teneva ben caldo, ma non gli impediva di sentire i suoi giorni ormai alla fine. Le orge regali, infatti, lo stancavano; sua moglie doveva sempre più spesso svegliarlo mentre ascoltava questa o quella supplica e sua Maesta iniziava una frase e dimenticava di finirla, addormentato.
Morì in un tiepido giorno d’estate, circondato dall’affetto di tutti, senza lasciare eredi. Si spense sereno, abbracciato a chi lo amava. Fece appena in tempo a vedere la rivolta dei repubblicani, gente allegra e colorata, piena di idee, geloso di non sapere quali meravigliose strade avrebbe preso la Sicilia, dopo di lui.
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