di Sergio Gilles Lacavalla
Ti sei addormentata poco dopo che la truccatrice si era assentata per non sai quale motivo. Quando ti sei svegliata era notte. Ti sei spostata dalla poltrona al divano e sei crollata di nuovo. Devi aver dormito per un giorno intero, perché al risveglio la luce che filtrava dal finestrino era quella della ruota panoramica.
Avevi sete e ti sei scolata quanto rimaneva della bottiglia di whisky accanto allo specchio in cui ti sei guardata. Metà faccia era truccata da clown e l’altra da attrice fallita. Sei rimasta nel camper ancora tre o quattro giorni, mangiando gli avanzi del buffet. In fondo non era diverso dalla vita che facevi a Los Angeles: potevi passare anche dieci giorni a casa ad aspettare una telefonata del tuo agente.
Quando ti sei decisa a uscire erano le quattro del pomeriggio di qualche giorno dopo e ti sei accorta che avevano abbandonato il set. Portandosi via qualche elemento di scenografia.
Ti sei aggirata tra distributori di pop corn e dolciumi. E adesso? Ti sei risposta che saresti potuta restare lì per altri sei mesi a mangiare granturco, merendine e zucchero filato e a bere Cherry Coke.
Hai cercato di toglierti il trucco, che cominciava a farti male penetrando fino alle ossa, ti dava l’emicrania. Non ci sei riuscita. Hai calmato i dolori con abbondante alcol e due giorni di sonno. Erano passate tre settimane e al mal di testa si era unita la nausea da zucchero filato.
Hai deciso di recarti in città con il camper. Avevi bisogno di soldi per mangiare cose diverse e andare in farmacia. Hai chiesto negli studios se avessero visto quei farabutti dei fratelli Chiodo che ti avevano lasciata senza un dollaro. Nessuno li conosceva e ti guardavano strano per via del mezzo make up. Qualcuno pensava che scherzassi. Soprattutto quando ti presentavi in un fast food a chiedere un posto da cameriera. Sei tornata al luna park.
Poi una sera hai sentito arrivare dal deserto delle parole concitate e spari. Hai azionato la ruota panoramica. Giunta in cima hai visto uno schermo cinematografico su cui era proiettato un film. Sei scesa e sei andata di corsa verso il cinema sbucato dal nulla. Nella cabina di proiezione non c’era nessuno. Esausta, ti sei seduta sulla prima sedia che hai trovato a guardare il film, aspettando che finisse per vedere chi lo stava proiettando. Invece ti sei addormentata e al risveglio il film noir era diventato un western. Era l’ultimo film della serata. Con l’alba lo schermo si è spento e nessuno si è presentato a togliere la bobina. Sei tornata in quell’arena per le successive sere. Ti sei addormentata sempre svegliandoti al termine dell’ultimo spettacolo.
Ma stavolta non avevi bevuto per tutto il giorno ed eccoti al tuo posto a goderti i film e per scoprire chi fosse il proiezionista. Inutile, quei film sembrava andassero da soli.
Però, prima dell’ultima proiezione, ti sei accorta della pubblicità. Era un annuncio che diceva: «Sei un’attrice o un attore specializzato in un ruolo? Fai un’audizione per il Circo dei fiori recisi. Se sei privo di scrupoli e colmo di pietà, fai per noi». Seguiva un numero di telefono. Non avevi da scrivere.
La sera dopo sei tornata. Finito l’annuncio ti sei precipitata sul camper e in un attimo eri al luna park, ti sei infilata nella cabina del telefono e hai chiamato il numero. Al terzo squillo hai realizzato che erano le tre del mattino. Stavi per attaccare ma una voce maschile ti ha risposto e ti ha dato un appuntamento.
Il circo sembrava quello portato via dal luna park. Eri perfetta. Le luci sulla scena illuminavano un uomo. L’uomo ti ha guardata e ti ha chiesto da quale film venissi. Gli hai detto che eri un clown assassino venuto dallo spazio profondo. Ti ha spiegato che eri nel luogo per i suicidi che volevano andarsene come i protagonisti di un film. «E poi la morte non è forse un numero di alta abilità?», ha aggiunto. Alla fine ti ha chiesto se avessi idea di come li avresti condottI ai titoli di coda. Tu hai sorriso e hai risposto: «Li farò morire dalle risate».
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