Nel quindicesimo secolo il condottiero Rao Jodha, sovrano di una città del nord dell’India chiamata Mandore, per ragioni di sicurezza decise di spostare la sua capitale di qualche chilometro. Nove, per l’esattezza. Fondò così un centro che oggi è conosciuto col nome di Jodhpur, il secondo più popolato del Rajasthan, e sfruttando un’altura nelle vicinanze fece erigere la fortezza di Mehrangarh (in sanscrito “fortezza del sole”), un mastodonte che si estende per cinque chilometri, con mura alte trentasei metri e larghe fino a ventuno. Per accedervi, bisogna attraversare sette portali. All’interno, una serie di palazzi magnificamente decorati, dai nomi evocativi: Palazzo delle Perle, Palazzo degli Specchi, Palazzo dei Fiori. In questo luogo è stato girato Junun, il nuovo film di Paul Thomas Anderson.
Perché sì, meno di un anno dopo Inherent Vice, PTA ha fatto un altro film, cosa abbastanza inusuale per lui, che in quasi vent’anni ne ha prodotti soltanto sette. Bisogna dire che in Italia non se n’è parlato granché. E’ stato presentato vagamente in sordina qualche settimana fa al Festival di Roma e arrivederci, e non c’è troppo da stupirsi se non avere visto il trailer al cinema o in televisione, perché semplicemente non c’è arrivato, esattamente come Junun non arriverà in sala, o almeno, non al momento. Uscita non prevista.
Anche se si potrebbe discutere sulla sua validità, un motivo c’è. Di fatto questo non è esattamente un film, ma un documentario di una cinquantina di minuti che segue la registrazione di un disco intitolato Junun, appunto. Tra gli artisti coinvolti, il compositore israeliano Shye Ben Tzur e il chitarrista dei Radiohead Jonny Greenwood, oltre a una serie di cantanti e strumentisti indiani completamente incredibili. Visto che Mr. Greenwood ha composto colonne sonore per un buon numero di film di Anderson, viene da immaginare questa collaborazione rovesciata come una specie di virile pacca sulla spalla in versione digitale, e forse in parte lo è. Ma ha davvero importanza?
Mentre i musicisti sonnecchiano in stanze ricoperte di cuscini per ammazzare i tempi morti dovuti alle continue assenze di corrente elettrica, sul tetto un uomo lancia pezzi di carne cruda ai giganteschi rapaci neri che sorvolano la fortezza. Questo è ciò che fa nella vita. Suo padre lo faceva prima di lui, e suo nonno prima ancora. Al piano di sotto Nigel Gondrich, produttore di dischi come Ok Computer dei Radiohead, Up dei R.E.M. e Terror Twilight dei Pavement, scaccia piccioni con un’asta da microfono.
Splendide donne indiane cantano parole di cui non conoscono il significato. Anche infilare le batterie in una pianola da quattro soldi diventa un rito. PTA si diverte come un bambino a pilotare un piccolo drone intorno all’edificio, e non si preoccupa minimamente di finire nell’inquadratura. Jonny Greenwood dal canto suo è impenetrabile, sempre in disparte, come se il suo obiettivo principale fosse creare il minimo disturbo possibile ai musicisti locali, con i loro baffi neri le camice bianche, che gesticolano continuamente, si lanciano occhiate, ridono e suonano in maniera così splendida da lasciare di stucco.
Se doveste essere curiosi, in Italia Junun si può vedere online sulla piattaforma Mubi.com a un prezzo inferiore a quello di un biglietto del cinema comprato il mercoledì. Dategli una possibilità, probabilmente saranno i cinque euro spesi meglio dell’ultimo anno.
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