La Manna si è chiusa alle spalle la porta della biblioteca borbottando la parola: Terra. Se avesse dovuto spiegare il motivo di quella scelta non avrebbe saputo dirlo neanche lei, forse è solo la sensazione di naufragio e disorientamento che l’accompagna da ormai quasi quindici minuti. La ricreazione stava finendo.
Si è aggirata in un silenzio quasi assoluto tra gli alti scaffali della biblioteca che riempiono l’ultimo piano della scuola, pensando che l’architetto che aveva scelto la collocazione del fondo librario non ha avuto tutti i torti. Un incendio, là dentro, sarebbe stato un danno enorme, certo, tutti quei volumi perduti, ma il fuoco avrebbe teso naturalmente a salire e quindi gli studenti ai piani più bassi sarebbero stati salvi. La Manna si è attaccata a quella visione: la biblioteca che brucia, la carta che si contrae e prende il volo, le fiamme che raggiungono il soffitto e si appiccano alle travi, una nube nera che si allunga nel cielo. Se solo un aereo, o più aerei… ma è un pensiero che ha lasciato fluire via con un mezzo sorriso sghembo e folle che le ha contratto il volto.
Che ci faceva la Manna dentro la biblioteca?
Poi ha visto venirle incontro una figura.
«Campa, che ci fai qui? Perché hai quello stupido cane al guinzaglio?».
«Ciao Manna, non saprei».
«Vorrei saperlo anche io. E vorrei tirare le fila di tutti questi indizi che non sembrano andare da nessuna parte».
«Possiamo provarci insieme, Simona. Andiamo con metodo».
«Prima domanda: cosa rappresenta la scuola?»
«Bella questa domanda. Forse una metafora? La geografia della scuola rappresenta il tuo inconscio».
«Grande Campa, questa cagata da parte tua sinceramente me l’aspettavo. Andiamo avanti. Tu Campa esisti o sei frutto della mia mente, come quel cane?»
«Qui ci sarebbe da scomodare un filosofo. Non puoi sapere se io esisto, ma il fatto che tu ne dubiti…»
«Garantisce che io esista. La sapevo».
«Bene. Comunque che io esista o meno ai fini della storia non è così importante».
«Sì, buona notte. Proviamo con una domanda più semplice, che c’entra la droga con il complotto dei compiti trafugati?».
«Forse sarebbe più giusto domandarsi cosa c’entrano queste storie con te, Manna?».
«Non lo so Campa, non mi esasperare anche tu».
«Allora, proviamo a ricapitolare. Lo spaccio di droga è una copertura. A nessuno frega niente di due etti di marocchino che Mattia avrebbe nascosto nel sottosella di Manfredi. Serve a coprire qualcosa di più grosso. Che cosa? Lo sai già. Nell’aula informatica c’è una squadra di persone che lavora giorno e notte a smistare e rivendere i compiti in classe di tutta la scuola. Siamo sempre nel penale, certo, ma qui girano soldi veri. Ma Manna, vedi bene, anche questa è solo una copertura, un secondo doppio fondo».
«Dai Campa, mi esasperi. Un secondo doppio fondo».
«Esatto. E sai cosa c’è dietro questo secondo doppio fondo?»
«Sto cazzo».
«Manna, sai che sei cambiata? All’inizio di questa ricreazione certe cose non le avresti dette. Chi è stato a renderti così? Forse Guido e i suoi amici? O forse Manfredi?».
«Andiamo avanti Campa. Cosa c’è dietro il secondo doppio fondo?».
«Beh, Simo, evidentemente ci sei tu».
«In che senso?»
«Sciioooè in che seeenso. Ma come parli. Mi sembri una tamarra».
«Dai Campa, sono stanca, la ricreazione sta finendo, adesso non ho più voglia di scherzare: che c’entro io in questa storia?»
«Mi sembra abbastanza evidente, anzi, come direbbe quel filosofo di prima, mi sembra chiaro e distinto. Di questa storia il centro sei tu».
«L’hai già detto, e ti ho già detto che mi stai esasperando».
«Ti faccio una piccola anticipazione di cosa succederà dopo».
«Come dopo?».
«Dopo. Quando uscirai da qui. Ti aspettano tutti in aula professori, e là dovrai prendere una decisione. Scegliere da che parte stare. In un certo senso si potrebbe dire che tu sei l’eletta».
«Ok, fino a qui ti avevo quasi creduto, ora l’hai veramente fatta fuori dal vaso. Perché dovrei essere l’eletta e perché dovrei andare in aula professori?»
«C’è uno schema, Manna, tu pensi di essere libera, ma ti stanno manipolando».
«Dai Campa, non ne posso più. Quando finisce questa storia?»
«Manca pochissimo».
La Manna ha guardato il Campa sfogliare un volume rovinato del “Discorso sul Metodo” di Descartes e rimetterlo a posto, poi lui ha fatto un cenno con la mano di saluto e se n’è andato via, sempre tenendo il cane al guinzaglio.
Le è venuta voglia di piangere. Ha guardato fuori dalle finestre, due piani più in basso i compagni si muovono nel cortile come fossero automi e le rondini impazzite per l’alta pressione che volano come aerei in picchiata salvo poi deviare traiettoria un attimo prima di schiantarsi contro i muri.
Poi è tornata a guardare gli scaffali e tutti quei libri che riempiono ogni fessura disponibile, ogni singola intercapedine, e ha ripensato alla prima cosa che le ha detto il Campa. La scuola rappresenta l’inconscio, va bene, e allora cosa rappresenta la biblioteca?
Sta bene, per un attimo, la Manna, sebbene non abbia chiaro cosa l’attende, consapevole che tra qualche istante uscirà di là e andrà in aula professori a capire, finalmente, il suo destino, ma ancora rimanda quel momento, lo prolunga non in uno spasimo, ma in un respiro. Un respiro profondo che le allarga il petto. Se solo qualcuno la vedesse noterebbe un accenno di sorriso. Intorno a lei migliaia di volumi hanno già raccontato quella storia, la sua storia e tutte le storie possibili. Si può tranquillizzare. Passerà anche quella ricreazione, passerà tutto, quel momento così decisivo è solo un momento, il tempo di un respiro.
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