di Ilaria Giannini
Siamo i Goonies di via di Porto, mi ripetevi dopo aver visto quel film nell’aula magna delle medie di Massarosa: l’avevano proiettato sull’unica paleolitica tv di proprietà dell’istituto l’ultimo giorno di scuola e cavolo se ti era presa bene.
Certo eravamo sfigati come loro e anche provinciali, ma tolto questo io coglievo più discrepanze che analogie. Intanto dai nostri appartamenti non si vedeva l’oceano ma solo il padule e anche se ci fossimo spinti una decina di chilometri più a nord al massimo potevamo arrivare sulla spiaggia di Viareggio. Difficile immaginare che ci fosse una nave pirata nascosta tra le dune e la pineta.
Per non parlare delle biciclette: chi le aveva mai viste così fiche? Tu ne condividevi una mezza arrugginita con tuo fratello, la Stefania neppure ce l’aveva e io quando ero fortunata dovevo accontentarmi del macinino rosso che mi prestava il nonno. Pesava un quintale e una volta arrampicata sul sellino i piedi non toccavano terra, quindi pedalare era più un gioco di equilibrismo che altro.
E poi ci mancavano troppi personaggi. Nessuno di noi era attrezzato con gadget speciali tipo dentiere a molla che schizzano fuori da una manica e ti salvano la vita, a meno di non voler includere tra i trucchi tecnologici anche la manina appiccicosa che davano con le patatine e finiva sempre attaccata alla mia coda di cavallo. Eravamo a corto anche di ciccioni, Nino aveva una panza rispettabile ma niente di paragonabile a Chunk, anche se condividevano la stessa ossessione per i dolciumi. A Bozzano non era facile diventare così grasso, nessuna delle nostre famiglie ci dava abbastanza soldi per comprarci le schifezze necessarie.
Ma sarebbe servito farti notare tutto questo? Tu ci vedevi come loro e pazienza se i tossici ancora si bucavano al bar di fronte alle nostre case popolari, due condomini gemelli costruiti col piano Fanfani per gli operai dell’Apice, la grande fabbrica di scarpe di Bozzano dove tutti i nostri nonni avevano lavorato. Ora in quei casermoni gialli un po’ scrostati ci abitavamo noi e al bar ci andavamo a giocare a Street Fighter, aspettando il momento in cui Amintore era troppo strafatto per accorgersi che gli stavamo inculando i cornetti dal frigo. Pazienza se le nostre avventure più grandi erano le sortite a Villa Rontani, la magione degli antichi padroni dell’Apice, abbandonata da decenni per motivi di eredità. Una volta Stefania ci aveva trovato un’enciclopedia intera e mi aveva costretto ad aiutarla a portarsela a casa, non era servito farle notare che nell’atlante c’erano ancora l’Unione Sovietica e la Germania dell’est.
Eppure sai che ti dico Fra? Avevi ragione.
L’altra sera hanno passato il film in tv e dopo più di vent’anni ho capito che io avevo torto e tu ci avevi visto lungo. Anche se nessuno girerà mai un cult su di noi, anche se non abbiamo trovato nessun tesoro e di certo non siamo diventati ricchi. Anche se ormai non ci vediamo quasi più e quando ci incrociamo ci salutiamo sempre con imbarazzo.
Noi siamo stati i Goonies di via di Porto, capaci di immaginare come loro qualcosa che non c’era, in grado di sfaldare il grigio di quella provincia addormentata con un po’ di fantasia e una naturale propensione a infrangere la legge.
E quando torno a casa adesso sì che il cortile delle case popolari mi sembra un luogo magico. Un quadrilatero di ghiaino e sabbia dove un tempo sono stata davvero felice.
laria Giannini è nata e cresciuta in Versilia e oggi vive a Firenze. Ha pubblicato due romanzi: “I provinciali” (Gaffi) e “Facciamo finta che sia per sempre” (Intermezzi). Insieme a Federico di Vita ha firmato “I treni non esplodono” (Piano B) sulla strage ferroviaria di Viareggio.
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