Chai latte, mocaccino, tè verde e un succo di melograno. Sulla tavola non mancava niente. C’erano tutti: Ilda e Marco, Karim e il suo Jean, Luisa e Haas. C’ero anch’io, un sabato mattina magnifico. Weserstrasse era allagata di sole che, dai piccoli balconi quadrati del palazzo, proiettava eleganti ombre a 45° sulla strada e sui tavolini punteggiati da piante fiorite, appena, come se non importasse. Ilda e Marco erano tornati da un viaggio a Londra e ne parlavano con grandi sorrisi, spiegando che Camden Market era talmente turistica da tornare interessante, un esempio di meta-presenza, così contemporanea. Gli altri ridevano, Ilda e Marco volevano sempre scoprire meta-presenze, le vedevano ovunque.
Bere insieme, prendersi in giro, veder passare il tempo come se non ci fosse nulla da fare per i prossimi quindici anni: senza dirselo, senza saperlo, era una delle forme di felicità possibili.
A volte l’aria era tesa, qualcuno aveva litigato, un tale spreco. Bere in silenzio, senza alzare gli occhi dalla propria tazza, attenti a non dire nulla di sbagliato. Nella peggiore delle ipotesi, Jean si alzava – Karim doveva lavorare – e scappavano via. Gli altri cercavano di non commentare, ma invariabilmente finivano a dire cattiverie e io dovevo tapparmi le orecchie e fare finta di leggere il mio libro con maggiore concentrazione per non accorgermi che anche noi eravamo un equilibrio instabile, temporaneo: un aggregato che avrebbe potuto in ogni momento dissolversi nei propri componenti base. Avevo impiegato anni a capirne le abitudini: farmi trovare sempre al tavolo accanto, per puro caso, non è facile. Ricominciare, alla mia età, sembrava una follia.
A volte mi chiedevo se si fossero accorti di me. Non ne parlavano mai, di questo sono sicuro. Ma forse ridevano via messaggio, chiamandomi “guardalinee esistenziale”, “eterno spettatore”. Ilda avrebbe detto “tranquilla presenza”; mentre Luisa “curioso arredamento”. Luisa sapeva essere crudele quando voleva.
Loro sono tutto per me. Non mi importa come mi chiamano. La mia settimana ruota intorno a questo avocado toast con pomodorini freschi e cipolline, caffellatte grande. E, ovviamente, a loro. Mi sono fatto crescere questa barba insopportabile per non essere l’unico senza in tutto il locale. Li ho seguiti per giorni. Tornando a casa, andando a lavorare, sempre, in ogni momento, penso a loro.
Probabilmente se lo sapessero correrebbero alla polizia, stalker, stalking, disturbato. Certo, certo. È facile.
Non sanno quanto amore richieda stare qua, seduto, a guardarli. Non sanno che, senza di me, non avrebbero nulla di speciale.
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