Di martedì siamo tornati al cinema anche se lei era cotta per il doppio lavoro, e il mio coinquilino stava messo ancora peggio, tutto il giorno in un posto chiamato “il Giogo”, che solo a sentirlo nominare si capisce che giornata era stata. Anche io ero stanco, anche se il lunedì e il martedì non avevo lavorato affatto, solo “lavorato” ai miei testi del futuro. Ma con loro avevo fatto attenzione a non sottolineare troppo quella mia stanchezza.
Siamo andati al cinema a vedere un film del ’58, era bello, Fiori d’equinozio, a un piccolo cinema con le poltroncine vecchie, ma caro. Caro nel senso buono: grazioso, vivo, un posto a cui voglio bene, non caro economicamente, che quello lo sono tutti i cinema: e il pensiero viene spontaneo, che non sono i cinema, ma sono io, che guadagno poco (o forse dovrei accettare di farmi pagare le cose dalla mia ragazza o dal mio coinquilino operosi).
Siamo andati così, affaticati, al cinema, per differenti fatiche e il film di Ozu, il primo a colori del grande regista giapponese, era bello, una storia quasi esopica, con la sua morale, con il suo insegnamento: il tramonto di un’epoca, che si ripete a ogni generazione.
Solo che prima del film ci avevano fatto un breve accenno agli eventi legati al Giappone e al regista Ozu, e fin qui tutto bene, perché il cinema è un luogo d’incontro e che tra una settimana si faranno composizioni floreali io la giudico una cosa bella. E poi, stava andando tutto bene, il presentatore ha detto qualcosa del film che avremmo visto, e là è stata veramente la fine.
Dico la fine della possibilità di vedere il film da parte delle vecchine che avevo dietro. Il presentatore ha fatto riferimento a certi tocchi di rosso che il regista avrebbe messo in ogni inquadratura, ad illuminare la scena, come un gioco o uno scherzo dato dalla possibilità stessa del colore, per lui cresciuto nel bianco e nero.
Era vero, ma le vecchine hanno iniziato, durante il film, a commentare ogni volta che nel film c’era qualcosa, guarda ecco il rosso, ecco il rosso, ecco il rosso. Allora io l’ho ascoltate per un po’ (e nella mia mente riuscivo solo a vedere, perché questo mi aveva detto giorni prima il mio amico Gianfranco, ovvero che le riprese nei film di Ozu sono fatte da telecamere poste sempre ad altezza quasi terra, a dieci centimetri da terra, così che potevo vedere solo quello, come le mie vicine il rosso, e stavo davvero per dire a quelle vecchine, ma fate piuttosto caso a come è stato girato il film, con una telecamera da dieci centimetri d’altezza, non vedete?) e invece loro continuavano il rosso, ecco una teiera rossa, un giradischi rosso, il rosso di qua, di là, di sotto di sopra.
Basta, ho urlato, girandomi a guardarle, e tutti nel cinema si sono girati a guardarmi a loro volta. Basta rosso, ho ripetuto. Le rose sono rosse, ho aggiunto rimettendomi a sedere nella poltroncina e le signore si sono fatte silenziose per qualche minuto e poi hanno ricominciato: il rosso il rosso ecco il rosso. Solo quello vedevano e mentre poi a fine film uscivo accompagnato da Diana e dal mio coinquilino che mi sorreggevano ai lati, lui mi ha detto: sì, è orribile quando vedo i trailer dei film, o quando fanno i discorsetti al cinema. Bisognerebbe non sapere niente, ma se ci pensi bene è così per tutto.
Aveva ragione lui, a prescindere la sua giornata passata a “Il Giogo”. Io mi sentivo esausto e dopo, tornati a casa, non abbiamo più riparlato del film di Ozu.
Veramente un grande film, l’ho visto da poco pure io.