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In fuga dalla bocciofila

Blog dal titolo fuorviante in cui si parla di cinema tra una divagazione e l'altra

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Figli | Prima del resto della loro vita

28 Gennaio 2020 di Elisabetta Meccariello

Lei è convinta che la lavastoviglie vada caricata in un certo modo, che la disposizione degli oggetti nello spazio, e perché no, anche nel tempo, debba seguire un ordine esatto, rispettare un’armonia di forme e colori e dimensioni, Lei è sicura che la precisione e la fluidità, e sì, diciamolo, soprattutto l’estetica, abbiano un ruolo fondamentale per la buona riuscita del lavaggio. Lui dice che sono stronzate e punta tutto sulla durezza dell’acqua. Consulta addirittura l’ente municipale acquedotto per accertarsi del valore esatto, quindi regola l’impianto addolcitore dell’acqua e preme il pulsante.

(Start).

L’equilibrio della coppia, prima del resto della loro vita, era insidiato da poche pochissime cose. Cose di scarsa scarsissima importanza che inspiegabilmente assumevano proporzioni gigantesche, all’improvviso, senza una motivazione precisa, oppure restavano piccole piccolissime minuscole, ma indurivano, diventavano pietre o spilli o pagliuzze di vetro, scaglie di metallo, a volte d’oro, che si infilavano nelle scarpe o tra le pieghe delle lenzuola, bucavano una tasca o il ditone del calzino. Tra queste poche pochissime cose, la collocazione delle tazzine all’interno della lavastoviglie.

Lei mette le tazzine da caffè sul ripiano in alto a destra del cesto superiore. È lo spazio ideale dove collocarle, rispetta la disciplina e la geometria della macchina e contemporaneamente crea una dissonanza nelle simmetrie, una disarmonia calcolata, quasi magica, perché dal lato opposto, a sinistra, il ripiano è un portacoltelli, con le fessure per bloccare le lame di quelli più lunghi. Lui dice di no, dice che è una stronzata, dice che quello non è il posto per le tazzine perché le tazzine sono più piccole dei bicchieri e che quando Lei, screanzata, le mette nel ripiano in alto occupando allo stesso tempo il vano sottostante con i bicchieri – ma che dico bicchieri, con una muraglia impenetrabile di bicchieri, tozzi massicci inattaccabili, mentre le tazzine, piccole indifese fragili, le tazzine del servizio buono che si rompono solo a guardarle, se ne stanno lassù in alto, al riparo dalla pulizia – insomma, a causa di questa ostinazione, Lei si rende complice dell’imperfetta igiene delle stoviglie, perché l’acqua non potrà mai arrivare alle tazzine in quell’angolo freddo e buio e disperato e così rimarranno sporche, è inevitabile.

E mentre lo dice la fissa strizzando gli occhi e inarca la schiena facendo scricchiolare le vertebre, poi gonfia il petto e mentre rilascia il fiato dalla bocca pare stia sussurrando Ho un dottorato in ingegneria industriale, tu hai fatto il Dams. O forse è solo il vento o un riflesso nello specchio o un tarlo nel legno della mensola.

Lei dice che l’acqua ci arriva eccome lassù, in quell’angolo freddo e buio e disperato, che non sono due bicchieri a compromettere il funzionamento dell’apparecchio, soprattutto se quei bicchieri sono ben allineati con la giusta precisa ragionevole distanza. E che semmai è Lui a provocare gli sporadici fallimenti dell’elettrodomestico, è lui a sabotare la macchina con i suoi continui esperimenti per misurarne la potenza: lasciare giganteschi pezzi di cibo, aprire il portellone a ciclo iniziato per vedere cosa sta succedendo, per non parlare delle piramidi di pentole e piatti, una sovrapposizione immorale, un incastro cervellotico di vetri e ceramiche e acciaio che poi per essere smontato devi trovare la successione esatta, che è una e soltanto una, che se prendi il bicchiere sbagliato crolla tutto, come con i bastoncini dello Shangai.

(Tempo rimanente 1:48).

Per risolvere la disputa consultarono il libretto di istruzioni, ma a pagina quattordici lessero: «L’étagère e lo spazio sottostante possono essere usati per tazzine o bicchieri o per le posate più grandi, come ad esempio il mestolo o le posate da portata». L’étagère? Sì, quel ripiano in alto a destra aveva un nome. Le istruzioni per l’uso inasprirono la questione. Seguirono discussioni, rimproveri e umiliazioni reciproche. Lui disse che chiamare un ripiano della lavastoviglie étagère era una stronzata. Insomma, per arginare le vicendevoli manie di controllo si raggiunse un compromesso: chi dei due azionava la macchina poteva spostare a suo piacimento gli oggetti all’interno, senza dire niente all’altro.

Ma il compromesso, si sa, non è mai risolutivo, sul lungo tempo genera malumori e dissapori, espressi o taciuti. Così, saltuariamente, a fine ciclo uno dei due infilava nel cestello un piatto unto per poter poi ghignare Hai visto questo piatto? Fa schifo, non l’hai caricata bene, oppure di soppiatto spostava il manico della padella per ostacolare i bracci di lavaggio, Ecco guarda cosa hai combinato, adesso è tutto da rifare. E così via.

(Codice errore E:22. Filtri sporchi o otturati. Pulire i filtri. Vedi Pulizia e manutenzione).

L’equilibrio della coppia, prima del resto della loro vita, era insidiato da poche pochissime cose. Cose di scarsa scarsissima importanza che inspiegabilmente diventavano altre cose, fantasmi forse, oppure nebbia, o fanali abbaglianti o, ancora, ombre sotto le palpebre.

Lei teme il giorno in cui sul fondo di una tazzina resteranno i rimasugli di caffè. Perché prima o poi succederà. Lei non se ne accorgerà e riporrà la tazzina nella credenza pensando che vada tutto bene. Un giorno arriveranno gli ospiti e Lei, da brava padrona di casa, offrirà un caffè, quindi tirerà fuori la tazzina dalla credenza, la metterà davanti all’ospite e l’ospite si accorgerà di quelle macchioline scure e rinsecchite sul fondo della tazza, sarà incerto se dire qualcosa o restare in silenzio, poi deciderà di non dire niente, per gentilezza, ma intanto guarderà Lei, strizzando gli occhi, e non penserà a un innocuo rimasuglio post lavastoviglie, no, penserà che quella casa è sporca e trasandata e sciatta e che anche i proprietari sono così, negligenti e tristi, con un fondo di incuria, come le loro tazzine, e che magari nascondono il laniccio sotto al tappeto. E probabilmente se controllasse troverebbe davvero un gomitolo di fibre polvere e capelli.

Che poi sul pavimento bianco si vede tutto, pensa Lei, anche una briciola, anche se hai appena spazzato, anche se hai raggiunto gli angoli con l’aspirapolvere, anche se hai strusciato più volte lo straccio bagnato, persino sotto ai mobili, l’hai tirato a lucido quel pavimento, ma poi una briciola è caduta, e niente, si vede, sul pavimento bianco si vede tutto, e tu non te ne accorgi subito ma solo quando arrivano gli ospiti, appena entrano nella stanza, eccola lì, la briciola, si vede solo lei al centro del pavimento. Pare che tu non pulisca da settimane, da mesi, forse non hai mai pulito da quando ti sei trasferita, senti le suole che si appiccicano al pavimento. Ma poi perché lo abbiamo scelto bianco?, pensa Lei.

Allora l’ospite metterà la sua faccia contro la tua, annuserà il marciume, sentirà la paura che ribolle sotto l’epidermide, scruterà l’inadeguatezza. Questi due non sono in grado di lavare una tazzina, dice l’ospite, figuriamoci se possono fare i genitori. Accudire un figlio, impossibile. Mi pare di vederlo il bambino che si rotola sul pavimento lurido con le briciole che gli si attaccano sulla faccia. Sarebbero capaci di nasconderlo sotto al tappeto, questi due, come fanno con il laniccio.

L’equilibrio della coppia, prima del resto della loro vita, era insidiato da poche pochissime cose. Cose che diventavano piccole e durissime. Frammenti che si infilavano dappertutto. Iniziarono a cercarle queste cose microscopiche, setacciarono ogni centimetro della casa e quando ne trovavano una la mettevano in un barattolo. Nessuno sa quanti ne riempirono. Qualche volta discutono ancora sul posizionamento delle tazzine nella lavastoviglie.

(Attenzione: guasto tecnico all’apparecchio. Rivolgersi al servizio assistenza dell’azienda).

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Postato in: La scena tagliata, Lo sfogone, Oceani di autoreferenzialità Tag: cinema italiano, figli, film 2020, italia, lavastoviglie, mattia torre, paola cortellesi, valerio mastandrea Fai un commento

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