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In fuga dalla bocciofila

Blog dal titolo fuorviante in cui si parla di cinema tra una divagazione e l'altra

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Eyes wide shut | Un pretesto per scrivere sulla Bocciofila

26 Luglio 2018 di Redazione

Di Lavinia Ferrone

Eyes wide shut è un film che abbiamo visto tutti, lo abbiamo visto almeno venticinque volte, è un film che conosciamo proprio bene, lo sappiamo a memoria. Però dovessimo dire di che cosa parla esattamente, alla fine nessuno è in grado. Non c’è nessuno che ti dica con certezza, con concretezza, in un solo, unico periodo, senza ekfrasis, senza punti di sospensione, senza intercalare: ‘Sì, Eyes wide shut parla di questo’. La dimostrazione me l’ha data un amico con cui sono stata a rivederlo (non starò certo qui a mettere tutte le ripetizioni del ‘ri’, perché appunto, l’ho visto davvero troppe volte, inquantificabili) al cinema. Voglio dire, è chiaro che, se vai al cinema di lunedì alle otto e mezzo, non puoi andare a vedere un film che non hai mai visto, dovresti stare attento a tutto quello che succede, e insomma di lunedì non è semplice. Lunedì, cinema, aria condizionata, andiamo a rilassarci guardando un film che conosciamo scena per scena, ad esempio Eyes wide shut. Mentre eravamo in fila per il biglietto una ragazza dietro di noi chiede al mio amico – Scusa, sai cosa c’è in programmazione ora? – Eyes wide shut – Cosa? – lui, scandendo le parole, convinto che fosse stato un problema della sua pronuncia inglese – E-Y-E-S-W-I-D-E-S-H-U-T.

– E che cos’è? – lui, imbarazzato – Un film…Kubrick…lui e lei…- ma nemmeno lui sapeva dirle di che cosa parlasse, e come biasimarlo. È Eyes wide shut, che trama vuoi raccontare.

Eppure questo film ha fatto parlare tanto, da sempre, continua a incendiare dibattiti sconvenienti tra amici che non posso esprimere fino in fondo quello che pensano perché accanto a loro c’è il rispettivo compagno/a che sta bene attento ad ascoltare cosa l’altro stia per dire.

Dopo averlo ririri etc… visto, ho pensato che nonostante fosse uno dei film più semplici di Kubrick, proprio per la sua apparente semplicità fosse, paradossalmente, uno dei suoi più complessi. Un film che apre tutte le scatole cinesi di cui si compone il nostro dannoso super-io. Quel luogo di noi che generalmente ci conduce, dopo lunghe e contorte peregrinazioni, a fare comunque qualcosa di istintivo, che in genere, alla fine della fiera, risulta tra tutte essere sempre la più grossa cazzata (concedetemi il termine scientifico) che potessimo fare tra tutte.

La storia scaturisce da una banalissima conversazione tra lui e lei, riparati dalla più tenera intimità nella camera da letto, svestiti, a fumarsi una canna nella speranza di un rapporto sessuale, quello del mese. Lo svarione derivante dalla cannabis fa inciampare lei nel primo catastrofico passo, franando nella peggiore delle domande, quella che si fa perché ci si aspetta una determinata, precisissima risposta. Lui, uomo al limite dello stereotipo, fallisce senza indugio. Questo dà vita, come sempre accade, ad un interrogatorio dove le domande diventano richiesta di chiarimenti delle stesse domande, accelerando velocemente verso l’occhio del ciclone nel quale lei, non avendo ottenuto ciò che desiderava (la risposta più banale, sapere se suo marito desidera altre donne, anzi sapere che suo marito non desidera altre donne, in modo da togliersi il dubbio del ‘concedersi o no’) decide di vendicarsi, dando peso sopra ogni necessità ad un pensiero normale, balenato per la testa tantissimi anni prima, per di più durato un breve lasso spazio-temporale. Questo, scatena il Kaos. Da lì, il film. Due sogni, uno mentale, quello di lei. L’altro, quello di lui, reale, ricercato, bramato, a lenire il dolore che fa una ferita all’orgoglio mascolino. Bramato ma non soddisfatto, fino alla paranoia. Cosa è vero, cosa non lo è mai stato, cosa non lo è più. Il confine tra verità e illusione si assottiglia e si dipana in un susseguirsi di scene non definibili con altro termine che perfette.

Poi, l’illuminazione, mentre tornavo verso casa, pensando a cosa avrei detto se una ragazza in fila per il biglietto mi avesse chiesto di che cosa parla Eyes wide shut.

Centocinquantatré minuti di pellicola che con semplicità, e al contrario di quello che si possa pensare, senza complicazioni o metafore dice esattamente la verità:

– C’è una cosa importante che noi dobbiamo fare prima possibile, scopare.

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Postato in: Recensioni vere Tag: Eyes wide shut, scopare, Stanley Kubrick 1 commento

Commenti

  1. Dilva Mauri says

    4 Marzo 2019 at 22:35

    sono certa pero’ che < senza complicazioni o metafore dice esattamente com' e' il film. Scusatemi l'uso di alcune parti delle vostro articolo, mi vedo d'accordo
    con quello che ho letto in special modo dal punto <<Dopo averlo ririri etc… visto, etc etc, sino a l confine tra verità e illusione si assottiglia e si dipana in un susseguirsi di scene non definibili con altro termine che perfette. **Perfette **: direi una Recensione vera.

    Rispondi

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