La luce riusciva a filtrare tra le fessure delle assi degli scuri; sulla parete buia, nera, di fronte al suo letto si proiettavano allora alcuni fasci luminosi che un esperto di astronomia, certo non lui, avrebbe potuto considerare elementi di una antimeridiana, e forse sarebbe anche riuscito a leggere l’ora. Mentre Miguel Rivera poteva soltanto ricordarsi – ogni volta che apriva gli occhi e osservava quelle linee – poche e improvvise immagini dei luoghi e dei volti che avevano abitato il suo sonno, e gli piaceva credere che quella meridiana ne governasse il tempo.
Miguel aveva deciso di raccontarmi come gli fosse capitato di vedere con una certa ricorrenza, nelle ultime due settimane, il viso di una giovane donna dai capelli neri e dagli zigomi pronunciati. La vedeva tutti i giorni, tutte le mattine; apriva gli occhi e vedeva quel volto; la cosa era andata avanti per ben due settimane; e sono tante due settimane diceva; diceva di non capirci più nulla; non ci capiva un accidente; non che gli facessi troppe domande a Miguel di quel sogno, però era evidente il fatto non fosse minimamente in grado di stare al passo con quelle immagini. E dopo che il sorriso le era comparso sulle labbra, a Miguel Rivera era capitato, con la stessa ricorrenza, di vederle sbocciare sulla fronte olivastra e libera dai riccioli una piccola rosa rossa che si apriva lentamente fino a toccare con i suoi petali entrambe le sopracciglia, nere come i capelli e gli occhi e la stanza e il buio che ti attanaglia nella prima fase del sonno, quella sottile linea d’ombra in cui un uomo deve abbandonare se stesso all’ignoto, ogni giorno, sperando poi che il mondo riappaia al proprio risveglio. Se ne avesse parlato con qualcun altro che non fossi stato io, con un analista mi verrebbe da dire, penso con un poco di presunzione che non sarebbe riuscito a dargli qualche opinione più utile di quelle che io non fui affatto in grado di dargli; perché Miguel Rivera aveva detto che non lo spaventava il sogno in sé, quanto il fatto che una piccola rosa rossa fosse incisa per l’appunto proprio sul manico della sua chitarra. A volte non si riescono a capire le proprie fantasie finché queste non si verificano nel mondo sensibile, mi aveva confidato Miguel.
Spararono alla ragazza a bruciapelo. Con un .357 Magnum dritto tra gli occhi. E Miguel si avvicinò a lei quasi subito dopo il colpo, lasciò passare soltanto una manciata di secondi, disse, che gli sembrò le fossero durate tutte, quelle due settimane in cui ogni notte aveva visto sbocciare la rosa sulla fronte di quella ragazza, e vide il suo sogno riprodursi chiaro e vivido nel tardo pomeriggio di quel giorno di marzo.
Un uomo molto alto si avvicinò alla panchina su cui la ragazza era seduta a leggere; quest’uomo molto alto si piegò sulla busta di carta marrone che lei, per potersi sedere, aveva posato in terra sulla ghiaia; nella busta non doveva esserci cibo, nessun piccione o scoiattolo arrivò a fiutare l’aria; poi l’uomo molto alto sollevò la busta da terra, ne controllò il contenuto e guardò la ragazza; lei teneva lo sguardo basso sul libro, nonostante l’uomo fosse molto alto e la sua stazza potesse ostruire buona parte del campo visivo di qualcuno seduto, ma non di qualcuno seduto che legge, soprattutto non di qualcuno seduto che legge un libro che ha un significato profondo, un libro in grado di sostituire il campo visivo del lettore con quello dell’autore, dei personaggi e dei grandi uomini di un altro mondo, proprio come il libro che stava leggendo quella ragazza quando quell’uomo molto alto le si parò di fronte; poi probabilmente si dissero qualcosa; lei alzò la testa. Miguel osservava da lontano: suonava la chitarra, e le sue note venivano spinte dal vento, arrivavano persino fuori dal parco; chi sa se, disse Miguel, arrivarono anche all’orecchio della ragazza quando quell’uomo molto alto la guardò negli occhi, alzò il braccio e le sparò il colpo che riecheggiò in tutta Milsum; questo pensò Miguel Rivera, almeno questo fu quello che disse a me. Disse che oltre a loro tre non vide nessun altro presente nel parco.
Miguel poi mi disse che solo dopo quell’attimo si era ricordato che erano diversi giorni che quella ragazza si sedeva a leggere proprio su quella panchina. Mentre l’uomo alto non l’aveva mai visto. Ma la busta, Miguel Rivera quella stessa identica busta di carta l’aveva già vista, mi confidò eccitato, molto spesso in più punti del parco: una volta abbandonata ai piedi della statua del generale Eisenhower, un’altra volta sulla terza gradinata dell’anfiteatro. La ragazza aveva capelli neri tagliati all’altezza della nuca. Capisci? Mi disse Miguel Rivera, io avevo previsto quello sparo. Io avevo previsto tutto. Soltanto che non lo sapevo, disse.
Se non avessi controllato i quotidiani on-line, se non avessi domandato a Den, quel giornalista maiale che mi chiama tutte le sere per inchiodarmi sui temi bollenti della vita, be’ se non l’avessi fatto quella sera stessa, avrei creduto a Miguel Rivera senza battere ciglio, anzi, avrei creduto che Miguel Rivera fosse un veggente, una Baba Jaga; e invece non ci fu nessuna ragazza, nessuna piccola rosa rossa sbocciata sulla fronte di una messicana dagli zigomi pronunciati. Den mi disse che quel mio amico doveva essere un amante di film scadenti o qualcosa di simile, perché la trama della sua storiella lasciava un poco a desiderare.
In effetti lo era, Miguel Rivera, un amante di film scadenti, e quel poster del Mariachi attaccato alle piastrelle gialle del bagno di casa sua avrei dovuto ricordarlo prima, appunto.
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