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In fuga dalla bocciofila

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Dahmer – Mostro: la storia di Jeffrey Dahmer | Ridammi la voce

9 Dicembre 2022 di Redazione

Essi Vivono ST02, ep04

 

di Laura Scaramozzino

 

 

 

 

I must have read a thousand faces

I must have robbed them of their cause

Sickened thirst, sickened thirst

Keeps it together

Soft white glow in the cranium

A bullseye made sedated

 

At The Drive-in

 

Eravamo una schiera di uomini e ragazzi. Qualcuno è fuggito, ha visto la luce verdognola del corridoio e assaggiato lo schiaffo della notte, fuori dal portone.

Desideravo cose belle, come gli altri. Come quel ragazzo, con le sopracciglia attaccate, che hai preso poco tempo prima di uccidere anche me.

Volevamo una lattina di coca con la condensa. I soldi per comprarci le Nike o infilarci dentro i cinema per guardare l’ultimo Nightmare.

Volevamo un cliché, forse, qualche sogno a buon mercato prima di crescere e romperci le ossa in qualche campo da football o piegando la schiena sui libri del college. Sebbene, fosse assai più probabile che la schiena me la sarei rotta altrove: in qualche fabbrica piena di clangori o nei magazzini bui nella periferia estrema. Come mio padre e il padre di mille altri.

A quelli che hai fatto a pezzi piace la strada perché c’è casino. Qualcosa da fare, o da vendere, ci scappa sempre. Scegliamo la notte per non pensare al sudore delle nostre case sovraffollate e alle blatte che saettano dietro i mobili scuri.

Tu queste cose non le conoscevi. O meglio, le conoscevi eccome, perché le portavamo scritte in fronte, sotto i capelli tagliati male e acconciati con una lacca di poco prezzo.

Chiedevi a tutti le stesse cose, qualche foto in cambio di un sogno sottocosto. Avremmo solo dovuto spogliarci e attendere lo scatto della polaroid. Poi ci avresti dato dei soldi. Ed era questo che volevamo, o almeno così credevo. Ora, in questo limbo che puzza di acido e sangue, non ne sono più tanto convinto.

Che cosa cercavi in noi? Forse la tensione di un corpo mai stanco.

L’hai fatto con me e con tutti gli altri. L’hai fatto perché potevi.

Quando sono scappato, privo di qualsiasi voce, nell’orecchio persisteva il ronzio del trapano.

Avrei dovuto capirlo. La coca aveva un sapore salino, da medicina per bambini. Ti ho guardato come se tu fossi un medico e io il paziente che prende uno sciroppo. E a ben guardarti, con la calma che ti velava gli occhi dietro le lenti larghe, un dottore avresti potuto esserlo davvero. Prima di svenire, mi sono illuso che nel tuo sguardo ci fosse un dolce senso di pace. Perché sai, io, la pace non la conoscevo ancora. Mi gettavo nella notte con il corpo inquieto e desideri di poco conto. Credevo fosse normale, per te che eri un adulto, sembrare così tranquillo.

Mi hai iniettato qualcosa nel cervello. I giornali, più avanti, avrebbero detto che volevi creare dei morti viventi con l’acido cloridrico.

Mi sono ripreso solo in parte. In gola e nella testa avevo un torpore che sapeva di fango e allagamenti. Tu eri uscito, forse credendo fossi ormai il surrogato di un quattordicenne, una bambola di pezza che, da lì in poi, avrebbe fissato il vuoto per sempre.

Ho urlato, ma la voce non è uscita.

Strano a dirsi, ma ho avuto fortuna. Mi sono alzato a fatica, lottando contro un sonno di piombo e terra, trascinandomi fino alla porta di casa. Sono uscito nel corridoio sbandando. Non avevo nulla addosso. Nulla dentro la bocca o nel fondo della gola secca.

Tremavo e barcollavo. Sono arrivato al portone e ho aperto. La notte mi scorticava il volto e le gambe d’adolescente sottile.

Due ragazze, dal fondo della strada, sono accorse in mio aiuto. Avevano felpe scure e braccia forti. Ho aperto la bocca, ma è rimasta muta, come negli incubi più banali.

Quando è arrivata la polizia, le ragazze hanno urlato al mio posto. Sapevano da dove arrivavo e sospettavano di te, dell’orco. Dell’uomo che viveva nell’appartamento vicino e che faceva rumori strani. C’era sempre una puzza tremenda in casa sua. Nella tua casa.

Ai poliziotti hai detto che stavamo insieme, che ero maggiorenne e che fossi uscito di casa nudo, perché ubriaco.

Ho guardato te, il tuo sacchetto marrone con le birre fredde, e lo smarrimento sul volto delle ragazze. Ho aperto di nuovo la bocca, ne uscivano solo mugolii e frammenti di parole strozzate. Il terrore era un fiato freddo e scuro nella notte. Non ti sei lasciato sopraffare dalle voci concitate. «È il mio ragazzo. Il mio boyfriend» rassicuravi con quel tono da medico e amante. I poliziotti non mi hanno osservato davvero. Non hanno visto la bocca muta e la pelle d’oca. Non erano brividi di freddo. Avevo anche una coperta addosso. Mi ci hai avvolto dentro e riportato indietro. Ho lasciato le mani e le braccia delle ragazze e sono svanito in un bozzolo di lana e nebbia.

Quando siamo tornati nel tuo appartamento ti ho implorato con gli occhi. Ridammi la voce, ho chiesto. Lasciami lottare.

Avrei voluto vivere ancora una volta prima di morire.

 

Laura Scaramozzino (1976, Torino) ha partecipato ad antologie e pubblicato romanzi. Dastan verso il mare, Edizioni Piuma, è stato selezionato al Premio Internazionale di Como. Suoi racconti appaiono su: Inkroci, Writer Magazine Italia, Quaerere, Sulla Quarta Corda, Clean Rivista, In fuga dalla bocciofila, Suite Italiana, Tremilabattute, Malgrado le mosche, Super Tramps Club, Grande Kalma, Enne2, Narrandom e prossimamente su Spore Rivista.

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