di Giuseppe Fontana (essi vivono)
Ogni sera, al solito orario, tutti e tre sospendiamo le nostre attività e ci riuniamo a tavola, dove parliamo del più e del meno.
Oggi mamma ha fatto la lasagna e già so che questo sarà l’evento più notevole della serata.
Per imbastire una conversazione, mi fanno le solite domande: com’è andata a scuola, se c’è stata qualche interrogazione, cosa ho fatto a casa. Io rispondo di malavoglia, mi sento costretto a parlare, come se il silenzio fosse una colpa.
Mentre descrivo l’esercitazione antincendio, mi sfiora il pensiero che le nostre cene siano squallide pantomime di quelle che ci propinano le pubblicità televisive: mai un alterco, toni sempre pacati, scambi di per favore, grazie, prego, non c’è di che, quasi leggessimo una sceneggiatura per famiglie felici che non preveda episodi di rabbia. Capita che il volto di qualcuno si contragga, per un istante, e l’impassibilità sembra cedere alla pressione della rabbia. Per un istante. Alla fine, la nebbia torna sempre.
Mi sembra che questa compostezza sottintenda qualcos’altro, per cui aspetto che papà prenda la parola. Non siamo sempre stati così. Ricordo un tempo in cui il litigio era all’ordine del giorno, un tempo senza compromessi, ed entrambi difendevano con fierezza le proprie posizioni. Ogni conversazione era un campo minato, allora, e le parole andavano ponderate, per non far saltare l’equilibrio precario che ci teneva in piedi.
Gli animi dei miei genitori erano due pianeti nella stessa orbita, infiammati dai rispettivi interessi: una collisione annunciata. Contemplavo quello scontro di volontà, come un bambino assiste a un diluvio, domandandomi per quanto fosse destinato a durare.
Mi sembrava di essere al cospetto del Diluvio universale.
Mio padre scriveva, aspirando al successo editoriale; mamma invece dipingeva per piacere personale. A tavola si servivano idee, le vivande erano la trama di un romanzo o il soggetto di un quadro, il pane il messaggio o il concetto veicolato dall’opera. In questo fermento culturale, era sbocciata la mia passione precoce per la musica.
I rapporti tra i miei genitori, da che ho memoria, non sono mai stati bilanciati. Mentre mamma gli era vicina in ogni suo progetto, papà svalutava la sua passione per la pittura, convinto che la mancanza di ambizioni di mamma legittimasse il suo blando supporto. Così papà iniziò a trascurare le faccende domestiche per dedicarsi alla stesura dei manoscritti e mamma, che non riuscì a conciliare arte, lavoro e il mio accudimento, mise da parte le sue inclinazioni. Alla fine, papà perse il suo conforto e affondò sotto i continui rifiuti degli editori, abbandonando la scrittura.
Mamma ci sta raccontando della collega che non paga le tasse, io la ascolto disgustato. Adesso ci abbuffiamo di chiacchiere, strafogandoci di aneddoti superficiali e ubriacandoci di pettegolezzi. Evitiamo ogni discussione profonda o anche solo costruttiva. Lascio la musica fuori dalla cucina per non insozzarla con il fango in cui ci rotoliamo. Alla fine della serata, ebbri di nulla, ci corichiamo sazi eppure affamati.
Ricordo che il diluvio mi faceva paura, che avvertivo un indefinito senso di precarietà. Ma la pioggia non cadeva ininterrotta: capitava di vedere il sole, che un arcobaleno trapassasse il grigio, e in quel momento era facile capire perché mamma e papà continuassero a navigare nella tempesta piuttosto che approdare sulla terraferma. A me invece era chiaro che non esistono scorciatoie, e che la serenità è una sudata conquista che va mantenuta con ancora più fatica.
Ad un certo punto, i miei genitori si sono stancati. Per sopravvivere al diluvio, hanno imparato a contenerlo, annegando i propri sentimenti. La serenità che hanno raggiunto è un sentimento stabile, eppure manchevole, e non so perché siano rimasti in mare. Il diluvio è cessato e da queste parti di arcobaleni non se ne vedono più. L’arca ormeggia nell’indifferenza, immersa nella foschia, mamma e papà ridono per una battuta letta su Facebook.
Mi è piaciuto. Complimenti Giuseppe.
Veramente bello e coinvolgente. Ogni parola mi appassionava sempre di più fino a ritrovarmi all’ all’ultima riga. Non mi resta che leggermi qualche battuta su fb
Semplicemente bella
Bello! E verosimile….
“(…) A tavola si servivano idee, le vivande erano la trama di un romanzo o il soggetto di un quadro, il pane il messaggio o il concetto veicolato dall’opera” : che bel passaggio! ottima anche la chiusa. La difficoltà dei racconti brevi viene affrontata dall’Autore con una bella sicurezza, che fa prevedere sviluppi molto interessanti. Complimenti Giuseppe
“La serenità che hanno raggiunto è un sentimento stabile, eppure manchevole, e non so perché siano rimasti in mare. Il diluvio è cessato e da queste parti di arcobaleni non se ne vedono più”.
Molto evocativo, chapeau.
Ad majora
Giuditta
Emozionante. Bravo trasmetti emozioni.
Complimenti Giuseppe,mi è piaciuta tanto.
Complimenti davvero emozionante
Ciao Giuseppe, ho immaginato con le tue parole la scena, l’ho proiettata nel mio quotidiano facendomi riflettere.
Grazie
Ottimo si evince una profonda sensibilità complimenti!
Davvero un bel racconto e mi piace anche l’accostamento al film.
Mi è piaciuto, veramente tanto, si riesce a vedere e ad immaginare la scena parola dopo parola.
Davide