Nell’armadio ho una scatola piena di cartoline. Nessun colore brillante, nessun dettaglio accattivante, nessuna etichetta che ne specifichi il contenuto. Sta stipata sotto cumuli di tute da ginnastica, contenitori vari, asciugamani per la spiaggia, cornici senza fotografie. La tiro fuori una o due volte l’anno, quando mi impongo un rigoroso cambio di stagione, operazione che non vede mai una fine perché una volta aperta la scatola l’autodisciplina si sgretola: i vestiti restano ammassati sulle sedie per settimane oppure lievitano sul pavimento mentre io, a gambe incrociate, con un cappello di paglia in testa, un maglione slabbrato addosso e un paio di calzini bucati ai piedi, impilo cartoline suddividendole per anno, per mittente, per tema iconografico.
Ricordo quasi tutte le immagini. Un carretto siciliano, un campanile arroccato, una vetta innevata, una capra. La cartolina completamente nera “Viareggio by night”, il collage di ombrelloni e scogli, il Cristo di Maratea.
Anche i messaggi potrei sciorinarli a memoria, nonostante la polvere, la carta ingiallita, le amicizie finite.
– Saluti “diacciati”!
– Ho visto questo tramonto e mi è tornato in mente quel pomeriggio sulla panchina accanto alla cabine telefoniche a cantare una canzone di Laura Pausini e Raf.
– Tra dieci giorni inizia la scuola, devo ancora fare i compiti, te cosa hai fatto?
– Ti sei innamorata anche quest’estate? Almeno gli hai chiesto il nome?
Alcune cartoline nascondono segreti. Altre amori mancati. La maggior parte sono piccoli pezzi di una vita che non c’è più.
La trepidazione di tornare a casa, dopo le vacanze, e aprire la cassetta della posta.
Le mani sudate stringendo forte quel piccolo tesoro.
La salivazione azzerata se anche lui ti aveva mandato una cartolina.
– Ciao, ci vediamo a settembre.
Cercare messaggi cifrati in
– Saluti da Principina.
Un getto di inchiostro per dimostrare che siamo esistiti.
Che qualcuno ha pensato a noi.
Che siamo stati amati.
Le cose che restano ci ricordano chi eravamo, a volte da cosa fuggiamo, quasi sempre dove vogliamo tornare.
Quando apro la scatola delle cartoline scatto foto che mando ai mittenti: “Guarda cosa mi scrivevi nel ’92”. Mi è capitato di non ricevere risposta.
Durante un trasloco ho deciso di farla finita. Basta con i pacchi pesanti, con gli oggetti inutili, basta con il superfluo.
Cosa ho conservato? Cartoline. Lettere, fotografie. Diari di scuola. Quaderni di sms ricopiati fitti fitti con una calligrafia stretta e dura. Stampe di e-mail perché il programma di posta un giorno potrebbe cancellare tutto. Foglietti di frasi illeggibili scritte chissà quando e da chi, messi da parte con il proposito di decifrarli dal primo all’ultimo per fare una cernita, una cosa seria, ragionata, tenere solo l’essenziale. Cosa ho buttato? Biglietti del cinema, del teatro, delle mostre, dei concerti; biglietti del treno, del traghetto, dell’aereo. Sottobicchieri di cartone. Numeri dei tavoli trafugati nei pub. Fiori secchi.
Adesso mi gira la testa quando non posso controllare la data esatta in cui ho visto Il quinto elemento. Adesso mi si piegano le ginocchia quando non posso tenere tra le mani quel foglietto stropicciato della prima volta in cui ci siamo incontrati.
Non esiste il superfluo.
– Si mandano ancora le cartoline? Non lo so. Ma ti stavo pensando e dovevo dirtelo. Mi manchi.
– Ciao cugina! Scendi quest’estate? Ti devo raccontare cosa è successo con xxx, non puoi immaginare! Chiamami.
– Come la barca lascia la scia io ti lascio la firma mia.
– Un caro saluto a te e famiglia.
Quando è arrivato il furgone del mercatino dell’usato ho pensato che non potessero entrarci tutti quei pacchi. Erano ammassati contro il muro, nell’ingresso di casa. Mio marito dice che non c’è altro da prendere. Stringe la mano al facchino e lo ringrazia. In meno di un’ora la casa è completamente vuota. In meno di un’ora non c’è più traccia di una vita intera. Nel furgone è entrato proprio tutto. Scegliere i mobili, i quadri, le lenzuola. Il servizio di piatti della domenica. Le tazzine da caffè per gli ospiti. Il tavolino che sta meglio in quell’angolo. E poi? Dobbiamo decidere cosa tenere, cosa buttare, cosa provare a vendere. Chiamiamo gli altri parenti per sapere se vogliono conservare qualcosa. Per ricordo, diciamo. Alcuni ci rispondono, altri no. C’è una scatola di scarpe piena di cartoline. C’è un cofanetto con i ricordini dei funerali. C’è un contenitore di latta dei biscotti con i cartoncini delle bomboniere. Ci sono i calendari degli anni in cui sono nati i suoi nipoti.
Penso a quando anch’io non ci sarò più. Che fine faranno i miei ricordi? Qualcuno sceglierà di tenere qualcosa? Qualcuno deciderà di tenermi?
È buio, sono sul fondo di una scatola. Qualcuno la sta sigillando, ecco il rumore del nastro adesivo. Urlo, nessuno mi sente. Tiro calci, pugni, testate, il cartone non cede. Finisce tutto così. Penso alla scatola di cartoline in fondo all’armadio, stipata sotto cumuli di tute da ginnastica, contenitori vari, asciugamani per la spiaggia, cornici senza fotografie. Qualcuno la aprirà? Leggerà le cartoline? Scoprirà i miei segreti? Perché non ho mai messo foto in quelle cornici?
Ci sono cose che ci tengono in vita.
Anche se non le guardiamo, non le tocchiamo,
sapere che sono da qualche parte vicino a noi ci rasserena.
Ci sono cose che tengono in vita chi non c’è più.
A volte sono un paio di orecchini, altre volte una foto sul comodino, altre ancora una cartolina.
– Torno presto, non vedo l’ora di vederti. Ti abbraccio.
Monica dice
Che meraviglia! Grazie!