Essi Vivono ST02, ep14
di Apolae
Incontrai Dolores per caso, al terzo soggiorno, seguendo un tizio in nero che pareva saperla lunga lì all’emporio, ok gringo ma niente domande, pagai il conto in fretta e via col vento era tosta stargli appresso, git up baby go, montava un puledro cazzuto garretti d’acciaio che sbranava la polvere, si scostavano tutti al suo passaggio in paese e lui briglia sciolta lungo il sentiero di crochi e gramigna, col sole fuso sempre a destra, lazo avvolto al pomo della sella, in una corsa che sembrava più allontanarsi da un rimorso che acciuffare una smania, incollato al galoppo fino alle querce annoiate del Ranch Abernathy. La Corporate ci spediva a Delos in viaggio premio per obiettivi raggiunti, a me e Patel. Dopo lo sbarco ognuno per conto proprio, che già dividevamo l’ufficio e di tempo insieme se n’era passato anche troppo, hasta la vista, restare per i fatti nostri era la ricompensa migliore. Allora facevo una doccia, mettevo il costume e puntavo al saloon per qualche bourbon, una mancia al pianista per un pezzo di Neil Young e me la godevo, Harvest, col mio cappello da cowboy bianco, respingendo l’aggancio di Clementine, profumo di zibetto occhi larghi e vacui, Vieni muchacho ti faccio la fiesta, Scusa sposato, Ma dai, Da vent’anni, E non sei già stufo, Forse, Dai vieni, Non posso, Prezzo da amico, Ci penso, poi al tavolo del poker farfugliavo all-in per finire la grana e scansare le tentazioni di una libertà insostenibile.Un mattino mi svegliai col gallo e andai a visitare Dolores. Dovevo vederla. La trovai al campo, come previsto, perché il suo loop del martedì prevedeva la mietitura. Stava china tra gli steli dorati, alti più di lei, nel gesto di falciare. La salutai, buondì dolcezza, ma non rispose. Quindi provai a smontare per avvicinarmi, scavalcando dei covoni deposti sul terriccio. A quel punto mi accorsi che il suo movimento si ripeteva su una zolla già tagliata, meccanicamente, forse un bug del sistema. Le dondolava una treccia sulla spalla, destra e sinistra, come una spiga indecisa. Poi si sbloccò e sorrise con ferma dolcezza, cullando un fascio di grano. Buongiorno Cliff. La sua voce accarezzò la mia solitudine, mentre col polso spianava pieghe sulla gonna. Confessai che quella notte avevo cavalcato attorno al podere del padre, perché c’era un lume acceso in casa e speravo lei si affacciasse, pregavo spalancasse le finestre mormorando il mio nome e magari un invito a entrare, di soppiatto tra gli arbusti sotto al cipiglio severo della luna, chiaroscuro d’argento, prima che il vecchio mi cacciasse via con un colpo di fucile in aria, come a un coyote affamato, anche se tanto lui non sapeva che amavo sua figlia, no, neanche a dirlo, non lo sapeva nessuno che amavo Dolores. Lei mi osservò svelare quella storia fissandomi attraverso, col frumento biondo in braccio intrecciato a un pensiero tardivo, maturo da tempo nella mente ma afferrato solo in quell’istante.
Fu quella l’ultima volta che la vidi al campo. Da un giorno all’altro il suo abito azzurro smise di mietere. Un gran puzzo di sterco circondava le stalle e i maiali grufolavano nervosi davanti ai trogoli vuoti. Eppure la ragazza rimaneva sotto al patio a ogni mia visita, collo dritto e sguardo in alto, col mansueto stupore di chi schiudeva una rivelazione, buondì dolcezza, serbando la consueta cortesia, buongiorno a te Cliff, più sincera nel tono ma più fredda nei modi, una vaga impazienza velata di zucchero. Spesso tirava fuori una scusa per darsi da fare quando le ronzavo intorno, o chiamava il padre che usciva col Winchester. A volte fingeva un mal di testa e si accasciava sul dondolo, senza il coraggio di cercare i miei occhi, nascosta dalle sue lunghe ciglia bugiarde.
Ricordai quella sera che facemmo l’amore con tanta foga da far male, la voglia era troppa e le strappai un lembo di pelle dall’anca, amore stai bene? lei impassibile o quasi, nulla, niente appena un sussulto di dolore, giusto si toccò un ciuffo di cavetti che spuntavano dal fianco come germogli di silicio, continua, invitò, stirando un sorriso a una mia esitazione, sicura? senza fermarsi, sì, né cambiare postura, sì, aggrappata alla testa del letto, sì, su un cuscino orlato di dubbi, perché da qualcosa s’era intuito, saranno stati i capelli crespi e sciolti, oppure quell’angolo curvo in fondo alle labbra, io l’avevo capito che Dolores era cambiata.
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